Culture

Quella sottile linea rossa della celebrità

Quando la notorietà è in bilico tra esposizione e sovraesposizione
Credit: ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
Tempo di lettura 5 min lettura
28 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Ricordate il Monopoli? Quel gioco da tavolo il cui scopo è diventare monopolista, rischiando la prigione e dribblando tra quelle circostanze non calcolate, i famigerati “imprevisti” e le famose “opportunità.

Potremmo prenderlo come una sorta di metafora per leggere gli “incidenti di percorso” che hanno interessato alcuni influencer di casa nostra, come Chiara Ferragni e Selvaggia Lucarelli. Anche se con due profili e due storie diverse, entrambe hanno investito sulla loro esposizione mediatica, partendo dal web e atterrando sui media tradizionali, mixando la vita professionale con quella privata e creando un costante flusso di comunicazione del loro personaggio, con cui sono arrivate alla “linea rossa della celebrità” (di cui parla il massmediologo Antonio Pavolini nel libro Unframing).

In un continuo gioco al rialzo per aumentare e alimentare la propria fan base, sono entrate nel meccanismo della fame di like, raggiungendo picchi di sovraesposizione che sono riuscite a governare a proprio vantaggio. Almeno fino all’inciampo con gli “imprevisti” degli ultimi fatti di cronaca: Chiara Ferragni indagata con l’ipotesi di truffa aggravata per presunta pubblicità ingannevole di prodotti Balocco, Dolci Preziosi e Trudi (e che rischia di ritrovarsi con una legge sulla beneficenza che porterà per sempre il suo nome); Selvaggia Lucarelli travolta da una gogna mediatica per la morte di Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano trovata senza vita dopo la polemica sulla recensione al suo ristorante, che, secondo il “tribunale dei media”, sarebbe stata indotta dai post di Lucarelli e del suo fidanzato Lorenzo Biagiarelli.

Conseguenze per entrambe: la perdita del controllo della loro immagine e dell’auto narrazione. Seppur investendo in contenuti differenti, sia Ferragni sia Lucarelli si sono ritrovate vittime dei loro stessi metodi di auto promozione tra social e media, e si sono scontrate con il boomerang della sovraesposizione che, fino a quel momento, aveva apportato loro visibilità, benefici e profitto.

La comunicazione viene venduta all’università come una scienza, ma è una materia labile, in continuo divenire, soprattutto da quando sono entrate in gioco le nuove tecnologie e il digitale che hanno scardinato il modello del messaggio unidirezionale e hanno mostrato le dinamiche del “to share”.

Oggi, chiunque abbia un profilo pubblico e mediatico non può non tener conto degli effetti delle proprie tracce digitali, delle proprie interazioni sui social, del proprio agire nei media; immettiamo tutti materiale che una volta pubblicato può essere condiviso, modificato interpretato. Di fatto ne perdiamo il controllo e questo dovrebbe responsabilizzarci rispetto a ciò che promuoviamo sul web, soprattutto quando si supera la “linea rossa della celebrità” che certifica la nostra esistenza, indipendentemente dai contenuti che divulghiamo e che ci espone non solo alla gloria, ma anche all’invidia, all’odio e agli insulti. Il prodotto diventiamo noi e la nostra “impresa digitale” si muove su sabbie mobili.

Gli influencer che riescono a costruire un business dalla loro visibilità sul web sono come i giocatori di Monopoli che, affittando o ipotecando le proprietà, vendendo e comprando case, ambiscono a diventare monopolisti e che pur di arricchirsi sono disposti a mandare gli altri giocatori in bancarotta. Ma quando si palesa un inciampo, il loro progetto va in crisi come quello degli influencer di fronte a un “imprevisto” che gli fa perdere improvvisamente il predominio della narrazione di sé. A quel punto rifuggono nel silenzio e vanno alla ricerca di quella invisibilità che hanno sempre evitato, smettono di pubblicare post, bloccano i commenti, si spostano da una piattaforma social all’altra, non rilasciano interviste e non vanno più in Tv: assumono comportamenti non più coerenti con la propria identità mediatica.

Mantenere la propria celebrità senza finire nella sovraesposizione richiede grande capacità di gestione della propria immagine, che non dovrebbe mai rispondere a un’affannosa ricerca di engagement a tutti i costi. La comunicazione è fatta anche di assenze, silenzi, ritmi cadenzati che danno un respiro alla presenza di un soggetto sul web e nei media: sono le “opportunità” di cui tener conto anche nel picco di visibilità. In ballo ci sono credibilità e reputazione, valori immateriali che ci riportano ai contenuti comunicati che non dovrebbero mai smettere di essere la bussola di chi fa della comunicazione la propria professione.

Mentre scrivo, sbricio tra gli imprevisti del Monopoli e ne trovo uno che dice “Multa per aver guidato senza patente”. In effetti, anche per l’esposizione mediatica si vorrebbe una “patente” che non ci porti a sbandare…

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