Futuro

È punibile uno stupro nel metaverso?

I crimini nel mondo virtuale esistono ma a oggi mancano spesso le norme per punirli. Sul futuro legislativo del metaverso La Svolta ha parlato con Francesca Lagioia, Senior Assistant Professor del dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Bologna
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16 marzo 2024 Aggiornato alle 11:00

Più passa il tempo, più le tecnologie progrediscono, generando opportunità ma anche rischi e pericoli. Qualche settimana fa, a esempio, una ragazza di 16 anni ha denunciato di essere stata stuprata da un gruppo di ragazzi su Horizon Worlds, il metaverso di Meta, o meglio di Facebook, come è stato definito durante l’evento Oculus Connect 6.

All’interno di questa realtà virtuale gli e le avatar possono muoversi e interagire tra di loro, partecipare a eventi, attività sociali e giochi, grazie a un visore che garantisce un’immersione totale all’interno del metaverso. Inoltre, ogni utente ha la possibilità di creare nuovi mondi a cui chiunque può accedere, attraverso una sorta di portale; in alternativa lә giocatorә possono creare un loro spazio personale, privato e non accessibile ad altrә.

Nel tempo non sono ovviamente mancate le critiche, spesso a causa di bug e problemi di stabilità che hanno reso difficile per la community avere un’esperienza effettivamente piacevole, per non parlare dei problemi di sicurezza. Quello denunciato dalla ragazza, infatti, è un vero e proprio crimine e per questo attualmente la polizia inglese sta indagando sul caso.

Ma è possibile commettere crimini nel metaverso? La legislazione attuale è abbastanza avanzata per comprendere anche questa realtà? Per cercare di fare chiarezza abbiamo parlato con Francesca Lagioia, Senior Assistant Professor del dipartimento di scienze giuridiche e del centro di ricerca Alma AI dell’Università di Bologna e Part-time Professor presso lo European University Institute di Firenze.

Dal punto di vista del diritto è possibile commettere crimini all’interno di un Metaverso?

Si tratta di un tema abbastanza complesso. Dobbiamo pensare al metaverso non solo come a un mezzo o uno strumento per la commissione di reati ma come a un vero e proprio luogo, seppur virtuale, in cui alcuni reati possono certamente configurarsi. Tuttavia, l’attuale quadro normativo è insufficiente. Per questo, anche a livello europeo, si discute della possibilità di introdurre nuove norme, così da colmare il vuoto giuridico che caratterizza questi mondi.

Rispetto ad alcuni reati, pensiamo alla frode, all’estorsione, alla diffamazione, alla pornografia infantile, o ai reati patrimoniali e informatici - come l’hacking o il phishing - i sistemi giuridici sono in grado di rispondere efficacemente.

Questi casi non presentano particolari differenze rispetto agli stessi reati commessi tramite l’uso di internet, chat, sistemi di messaggistica e social. Tuttavia, il numero e le fattispecie di reati sono in aumento. Molti studi, tra cui uno recente condotto da SomeOfUs - un’organizzazione senza scopo di lucro che si batte affinché le compagnie che operano all’interno dei mercati digitali e del metaverso, siano ritenute responsabili per una serie di violazioni commesse dai propri utenti - hanno dimostrato l’emergere di una serie di reati commessi all’interno di mondi virtuali, tra cui violenza sessuale o molestie, incitamento all’odio e alla violenza, stalking, violazioni della privacy o delle norme in materia di marchi e brevetti, riciclaggio e frode finanziaria. Anche l’Interpol ha avviato una serie di iniziative tra cui la creazione del primo ambiente virtuale per studiare i nuovi tipi di reato commessi nell’ambito del metaverso; e la compilazione di una sorta di guida per le forze dell’ordine di tutto il mondo in cui si spiegano i potenziali pericoli e come è possibile agire.

E per quanto riguarda lo stupro?

Il “problema” è che per la violenza sessuale il presupposto, praticamente in tutti gli ordinamenti, è la violenza fisica, intesa come contatto fisico senza consenso, che evidentemente manca all’interno di realtà aumentate. In modo simile, sarebbe impossibile contestare, per esempio, i reati di percosse o di omicidio per la mancanza di un corpo reale su cui commettere (o tentare di commettere) una violenza.

Tuttavia, la natura estremamente immersiva dell’esperienza fa emergere nuove forme di danno psicologico, ampiamente riportate in letterature, tra cui stress, perdita di concentrazione, ansia, attacchi di panico, comportamenti autolesionistici.

I mondi virtuali sono caratterizzati da un’illusione percettiva di non mediazione. Abbiamo la sensazione di essere in un luogo senza percepire la tecnologia che lo ha generato. Le realtà virtuali riproducono immagini, suoni e situazioni, generando conseguenze sensoriali del tutto simili a quelle che avremmo nel mondo fisico. Più i modelli di rappresentazione virtuale sono simili a quelli della nostra mente, più il senso di presenza fisica e il coinvolgimento emotivo aumentano. Le minacce, a esempio, possono essere percepite come reali, e molto più di quando accade all’interno dei social media.

Attraverso una serie di esperimenti, è stato dimostrato che il modo in cui il nostro cervello ricorda quanto vissuto in ambienti virtuali è molto simile al modo in cui la nostra mente crea ricordi di esperienze nel mondo reale, fornendo una risposta fisiologica alle simulazioni virtuali del tutto simile alla risposta corporea in situazioni reali. Proprio per questo è necessario un adattamento del quadro normativo. Si tratta di un processo che avviene continuamente nel diritto, basti pensare all’introduzione dei reati informatici o del reato di stalking.

E, invece, per quanto riguarda l’identificazione di chi commette un reato?

Questo rappresenta un altro grande ostacolo alla punibilità dei reati commessi online e in particolare nei mondi virtuali. Identificare con certezza gli aggressori è difficile, dato che spesso la registrazione alle piattaforme non richiede documenti di identità; e gli avatar possono essere creati attraverso reti wi-fi non riconducibili a persone fisiche. Mancano sistemi di identificazione che consentano una governance efficace dei metaversi. E a questo si aggiungono anche dei processi inadeguati per quanto riguarda la segnalazione di violazioni e reati.

Cosa si può fare quindi?

È indispensabile adottare una serie di misure di prevenzione e di mitigazione. Per prima cosa introducendo meccanismi e strumenti semplici per segnalare violazioni, possibili reati e condotte inappropriate, e poi intraprendendo azioni repentine ed efficaci per contrastarle. Servono studi sul benessere e la salute mentale degli individui; meccanismi di sicurezza più efficaci che possono prevedere a esempio la creazione di confini intorno agli avatar, così da stabilire un limite spaziale non superabile, una sorta di bolla virtuale, un’area personale protetta che non possa essere invasa, anche se questo non esaurisce né risolve il problema relativo alla commissione di reati nel metaverso. Un altro passo importante sarebbe quello di migliorare la sicurezza informatica, per esempio attraverso la crittografia dei dati.

Più in generale è necessario capire che rapporto c’è tra mondo fisico e virtuale e in che modo si relazionano tra loro. Dobbiamo evitare che quello virtuale diventi un mondo senza regole dove tutto è concesso, compresa la possibilità di dare libero sfogo a comportamenti che integrerebbero fattispecie di reato se commesse nel mondo fisico.

Ci sono mai stati casi in cui delle persone sono state imputate o condannate per aver commesso dei crimini nel metaverso?

Che io sappia nessuno per quel che riguarda i reati che prevedono forme di violenza fisica, che fortunatamente sono pochi rispetto ad altri come la truffa o la contraffazione, per i quali la giurisprudenza è intervenuta equiparando la frode virtuale alla frode reale, stabilendo gli stessi principi di responsabilità e quindi l’applicabilità delle relative sanzioni in ambito di violazioni sempre più frequenti della proprietà intellettuale e regolando il rapporto tra NFT, diritto d’autore, proprietà e marchi.

Il caso Hermes contro Mason Rothschild è un esempio significativo della necessità di chiarire in che misura la tutela del marchio nel mondo reale si estenda al mondo virtuale. Nel caso specifico, l’azienda di moda francese aveva citato in giudizio il creatore di NFT Mason Rothschild per violazione del marchio. Rothschild aveva creato una serie virtuale di borse chiamate “MetaBirkins”, vendute per ingenti somme di denaro, del tutto simili alla celebre Birkin di Hermès. Nonostante Rothschild abbia sostenuto in giudizio che gli NFT MetaBirkins fossero diversi rispetto alla realizzazione di normali prodotti di consumo, poiché gli NFT sono generalmente considerati un’opera espressiva, il giudice si è pronunciato in favore di Hermes per violazione del marchio.

Questo fatto sottolinea proprio come il metaverso sia un luogo dove si riproduce sempre di più un complesso sistema sociale ed economico così come accade nella realtà.

Al di là di casi specifici però la difficoltà di identificare le persone fisiche collegate agli avatar di cui parlavamo è un grosso ostacolo alla punibilità. Un singolo individuo, per esempio, potrebbe avere molti avatar, di cui nessuno riconducibile alla persona fisica. Anche nel caso in cui si possa applicare una norma l’identificazione del reo risulta quindi spesso impossibile.

A questo proposito Catherine Cross, esperta di crimini informatici, ha affermato che, secondo lei, la responsabilità di affrontare queste questioni dovrebbe ricadere soprattutto su chi gestisce le piattaforme. Cosa ne pensa?

Credo che non sia possibile, né adeguato, delegare del tutta la questione all’autoregolamentazione da parte dei proprietari o gestori delle piattaforme. Inoltre, da un punto di vista sanzionatorio, nel diritto penale la responsabilità è personale e non è possibile muovere un rimprovero soggettivo, per esempio per violenza sessuale, a questi soggetti. Tuttavia, possiamo implementare dei meccanismi di responsabilità di tipo economico-patrimoniale delle piattaforme qualora non vengano rispettati certi standard di sicurezza. Per esempio, una piattaforma dovrebbe essere ritenuta responsabile tutte le volte in cui non implementi misure tecniche, sulla base degli sviluppi tecnologici esistenti, per prevenire e mitigare i danni derivanti da condotte antigiuridiche, e per farlo abbiamo bisogno di modificare le norme esistenti e crearne di nuove.

E per quanto riguarda una nuova legislazione a che punto siamo?

Come dicevo a livello europeo si discute della possibilità di creare un quadro normativo dedicato al metaverso. Il ruolo dell’Europa è essenziale per una regolamentazione di carattere generale, in modo tale che i singoli stati non creino discipline disomogenee. In ogni caso, sarà necessario aggiornare le diverse norme di settore, come quelle in materia penale o sulla tutela della proprietà intellettuale. Credo che la questione sia sempre più urgente.

Per quanto riguarda lo stupro o in generale le violenze sessuali che tipo di norma si può immaginare?

Mi vengono in mente due scenari. Attualmente abbiamo due fattispecie principali: la violenza sessuale per costrizione e quella per induzione. Il secondo caso, per esempio, si verifica quando qualcuno abusa delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, oppure quando la trae in inganno sostituendosi a un’altra persona. Possiamo pensare di introdurre una terza fattispecie che non richieda la violenza fisica su un corpo reale, in cui il bene giuridico tutelato è quello dell’integrità psichica, guardando quindi al danno psicologico. Potremmo anche pensare di introdurre una norma ad hoc, un nuovo reato distinto dalle fattispecie generiche di violenza o molestie sessuali.

Mark Zuckberg ha affermato che questo genere di violenze non possono accadere all’interno di Horizon Worlds perché esiste, come diceva anche lei, una bolla protettiva. Crede che si possa parlare anche in questo caso di vittimizzazione secondaria?

Non ho seguito il dibattito online, ma se così fosse sarebbe gravissimo. Questa non è una giustificazione adeguata. Se esistono strumenti di prevenzione le piattaforme li devono implementarle ed essere responsabili della sicurezza degli ambienti che creano. Per esempio, la “safe zone” potrebbe essere una funzionalità di default, che gli utenti possono decidere di disattivare per consentire ad altri avatar di avvicinarsi, e non il contrario, così da evitare che, in situazioni di pericolo imminente, questa azione sia lasciata alla capacità di risposta repentina del soggetto in pericolo. Ciascuno di noi reagisce in modo diverso a situazioni di questo tipo. La paura potrebbe a esempio essere paralizzante.

Inoltre la vittimizzazione secondaria è spesso sottovalutata: può scoraggiare le vittime e avere conseguenze anche molto gravi sulla psiche. Proprio per questo, avere norme chiare contribuirebbe a dare un segnale forte e inequivocabile, rispetto a condotte il cui disvalore è innegabile. Un atto di violenza rimane tale indipendentemente dal comportamento della vittima. Ci sono moltissimi studi che dimostrano come, in situazioni di pericolo, la reazione individuale sia variabile e dipenda da numerosi fattori, come il background e altre caratteristiche individuali, fino all’ambiente in cui viene perpetuata la violenza. Come dicevo spesso la paura può essere del tutto paralizzante.

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