Diritti

Finché Damiano (dei Maneskin) non posterà una foto in cui spolvera il comò…

…la parità sarà impossibile da pensare. Così come la condivisione dei compiti “casalinghi”. Un’autorevole giornalista economica, Rita Querzè, ci spiega la to do list per il Governo. In sei mosse facili facili

È da due mesi che mi riprometto di recensire il libro Donne e lavoro: rivoluzione in sei mosse scritto da Rita Querzè (Post Editori, 22 euro, 200 pagine) perché l’ho letto tutto d’un fiato e non sotto costrizione. E l’ho pure presentato, insieme a Milena Gabanelli, Virginia Nesi (giornalista del Corriere e curatrice de La 27esima Ora) e Maurizio Ferrera, professore ordinario di Scienza politica all’Università Statale di Milano.

È da due mesi che mi riprometto di scriverne, perché è un libro necessario, divertente, propositivo, e tuttavia da due mesi sono sopraffatta da una to do list assurda che mi consente l’agio del procrastinare.

Ma eccomi, oggi ho preso il coraggio a due mani e ho detto basta, bisogna scrivere di questo libro perché altrimenti finisce che un sacco di ben pensati ne carpiranno le parole senza citarlo. E invece, quando si parla non tanto di problemi (non solo) ma di soluzioni economiche che vedono le donne come protagoniste, questo libro va citato perché ha un punto di vista pragmatico ma anche politico. E un sacco di politici se ne stanno appropriando, dei suoi postulati. Non ultimo, su Libero, Roberto Formigoni.

Sì, non un omonimo, è proprio Roberto Formigoni che nella rubrica La frustata (no comment) dissemina numeri e soluzioni per la questione della maternità femminile, come non ci fosse un domani. Come se fosse il massimo esperto in materia.

Ma chi è pratico della materia sa che Formigoni può essere esperto di tutto, tranne che di questi temi, e che le soluzioni che porta alla nostra attenzione sono quelle proposte da Rita Querzè. Che, per chi non la conoscesse, è una giornalista economica di lunga data del Corriere e professionista dei numeri, e ha fatto molto per educare i lettori del quotidiano meneghino alla sensibilizzazione del tema “donne e lavoro” (anzi, d’ora in poi facci caso perché è da seguire).

Ebbene, cosa scrive di rivoluzionario Querzè nelle sue “sei mosse”? Quali sono le sei mosse che si deve dare questo Governo (e altri Governi avrebbero dovuto darsi in passato, e in futuro)?

Su carta sembra facile, ma a ogni soluzione vengono agganciati esempi, e storie, che facilitano la comprensione della proposta.

La maternità è magica (per chi se la può permettere)

Le donne sono come lo yogurt, racconta ironicamente Querzè, e scadono presto. E su questo, che è anche il tema iper-commentato della conferenza del 4 gennaio della Presidente del Consiglio, Querzè offre soluzioni basiche che riassume così: togliere i disincentivi. Che è una cosa che sarebbe dovuta accadere prima di proporre incentivi.

Per esempio, io non sapevo che dal punto di vista puramente fiscale le detrazioni per il coniuge a carico sono agevolazioni per le coppie in cui se una persona rinuncia al lavoro, dopo la nascita del figlio, può beneficiare di sgravi fiscali. Questa norma fa sì che molte mamme preferiscano rimanere a casa.

Bisognerebbe poi evitare l’assegno per i figli dice, perché per i redditi bassi è un incentivo a rinunciare alla professione, per le donne. La proposta di Querzè è quindi di offrire asili nido gratis per tutti coloro che hanno figli, ma soprattutto per le fasce più deboli. Offrire sgravi fiscali per chi assume colf, baby sitter e badanti, riorientare gli assegni pubblici affinché favoriscano il lavoro delle donne. E poi, non meno importante, andare oltre l’organizzazione fordista del lavoro.

Il lavoro di cura è gratis, è delle donne, e deve diventare un tema di tutti

Nell’industria lavorano gli uomini. Nei servizi, più donne. Il lavoro ibrido (un po’ smart working e un po’ in ufficio) mette in salvo la possibilità di gestire la casa, ma per le donne è anche un boomerang perché in azienda i maschi in carriera sono in ufficio, e le donne che si occupano dei figli rimangono su Zoom.

Quindi, come fare a usare lo smart working per bene, e non “per male”? Qui Querzè cita il lavoro di Chiara Bisconti e il suo invito a pensare, ciascuna, la propria strada in modo individuale, per poi fare perno su una contrattazione collettiva che ancora non esiste in questo frangente. Tenendo ben conto che lo smart working non sostituisce gli asili nido e la necessità impellente di averli. E che il congedo di paternità paritario è imprescindibile.

E fin quando “Damiano dei Maneskin posterà una foto su Instagram in cui spolvera con lo straccio in mano” e le donne parleranno di “mancata libido” se l’uomo fa le pulizie, nulla si muoverà, sul tema della cura.

Stipendi in piazza, come in Uk

La legge sulla parità salariale. Ce l’ho. La legge sulla certificazione di genere. Ce l’ho. E allora cosa manca? Beh, che le italiane guadagnano il 15,5% in meno l’ora nel privato, e il 5,5% nel pubblico. Ovvero, la parità retributiva è formale ma non sostanziale. E le donne lavorano in settori mediamente meno retribuiti degli uomini.

Le donne, poi, non chiedono aumenti perché già si sentono delle “miracolate” perché lavorano. La conseguenza è ovviamente che anche le pensioni siano più basse, in media, del 36%.

Per migliorare le cose Querzè spiega come innanzitutto dovremmo iniziare a parlare di soldi un po’ meglio. E poi, fare sul serio con la nuova direttiva europea (970 del 2023 pubblicata il 10 maggio sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione) che deve essere recepita entro il 7 giugno 2026. La normativa dice che, quando il divario di stipendio tra uomo e donna è troppo alto (rispetto alla stessa mansione) chi è stato discriminato ha diritto a un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei bonus.

Femministe al comando, lotta al part time e … intraprendere!

Gli ultimi tre capitoli del libro, ovvero le ultime tre mosse di Querzè, le riassumerei così: facciamoci coraggio. È interessante leggere come le imprese femminili registrate nel 2022 fossero 1,3 milioni, ovvero il 22% del totale. Non solo sono poche, ma spesso sono di Serie B. Ovvero attività piccole, nei settori a bassa redditività, con meno dipendenti.

Le imprenditrici sono percepite come lavoratrici che non hanno nulla da rivendicare in quanto “arrivate”. E invece fare impresa spesso è un obbligo. O spesso una sfida, difficile, complessa, rischiosa. Centri estetici e cake design non possono essere poi le principali attività. Non essere nelle costruzioni (6%) il gas, le aziende tecniche e scientifiche nonché i servizi finanziari, assicurativi e immobiliari fa sì che le donne imprenditrici, oggi, stiano svolgendo lavori ancora una volta umili. Quando non sono prestanomi.

Le ricette proposte in questo senso dalla giornalista sono ancora una volta semplici (al di là degli incentivi del Pnrr e dei bandi dedicati alle imprese femminili). Potenziare i fondi di garanzia statali sul credito, puntare sul sociale e sulla sostenibilità. Fare educazione.

E poi, leggere il libro di Rita Querzè.

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