Economia

Perché dobbiamo parlare (ancora) di asili

Le facciamo, non le facciamo, riallochiamo i fondi, anzi no: la lunga storia delle strutture per l’infanzia in Italia, che servirebbero a tutti (e all’economia) ma di cui continuiamo a ignorare l’importanza. Tanto ci sono le mamme
Credit: Ivan Samkov
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
28 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Ricordi le puntate precedenti?

Iniziamo con la parte facile: nel nostro Paese, gli asili nido e, più in generale, le strutture per l’infanzia non ci sono. Siamo strutturalmente in ritardo rispetto all’obiettivo europeo del 33% di disponibilità di posti (che ora è stato elevato al 45% da raggiungere entro il 2030). Noi come siamo messi?

Mah: in Campania siamo al 6,5%, in Sicilia all’8,2%, in Calabria al 9%, secondo le stime Svimez. La media nazionale è del 22,7%, le Regioni più virtuose l’Umbria con il 36,1% e la Toscana con il 36%.

Un difetto strutturale, che è prima di tutto culturale. Nel nostro Paese i nidi non servono: ci sono le mamme, a prendersi cura dei bambini. In uno Stato che vuole le donne soprattutto madri, in cui 1 donna su 3 lascia il lavoro dopo il primo figlio, in cui quasi il 73% delle donne che ha un bambino lavora in part-time e in cui oltre il 61% delle donne che lavorano part-time lo fanno essendovi costrette dall’assenza di servizi alle famiglie, ancora stiamo qui a discuterne.

Quali sono le novità?

C’è che nelle previsioni iniziali del Pnrr, che già sulla costruzione degli asili nido aveva fatto un bel pasticcio, i posti nelle strutture per l’infanzia sarebbero dovuti essere 264.480. Poi sono scesi a 250.000. Ora, dopo la revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza accolta dalla Commissione Europea, i posti sono diventati 150.000.

Cosa è successo, nel frattempo? Si sono alzati i prezzi, dicono dal Governo. E quindi quei 2,4 miliardi di euro stanziati per la costruzione delle nuove strutture per l’infanzia non bastano più per coprire i posti previsti. E poi c’è il tema di tutte le opere di riqualificazione delle strutture esistenti, che Next Generation EU non aveva previsto di finanziare, ma che l’Italia ha inserito comunque nel piano. E che ora, prevedibilmente, non saranno finanziate.

Come la risolviamo?

Allora, la risposta ufficiale è che ora dovrebbe subentrare un secondo Piano Asili, che dovrebbe magicamente portarci a raggiungere il famoso (e temuto) obiettivo del 45%. E su questo aspettiamo i dettagli tecnici. Ma devo dire, lo svolgersi delle vicende è sconfortante. Perché anche nel dibattito pubblico, questo viene ancora troppo spesso derubricato a “tema delle donne” e di volta in volta posto in secondo piano.

Sembra che non comprendiamo le potenzialità legate alla fornitura di un’infrastruttura sulla quale siamo ormai ridicolmente in ritardo. E trovarsi ogni volta a rimarcare le motivazioni per le quali invece questi asili nido dovremmo costruirli è sfibrante. Eppure. Facciamolo un’altra volta.

Ricordiamoci (collettivamente) perché è importante

Mettiamo subito in chiaro una cosa: quella degli asili nido non è una misura “per le donne”. Ci andiamo noi all’asilo nido? Troveremo qualcuno che ci sfama e ci coccola? Potremo fare il riposino? (Certo che, se fosse così…).

Le strutture per l’infanzia sono innanzitutto per le bambine e i bambini, che ne sono i naturali beneficiari. È anche del tutto sensato affermare che si tratti di una misura per le famiglie. E però, sappiamo che di fatto è uno strumento in grado di liberare la forza lavoro femminile. Perché nel nostro Paese, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il 75% delle attività di cura è ancora sulle spalle delle donne. E, dal momento che ancora una volta quest’anno, Almalaurea ci ha confermato che le donne rappresentano il migliore capitale umano che abbiamo, il tema è legato a doppio giro alla ricchezza che l’Italia sarebbe in grado di produrre se le donne fossero davvero libere (non solo di fatto, ma anche culturalmente e rispetto al giudizio collettivo) di lavorare e guadagnare i propri soldi.

Secondo i dati McKinsey Global, se il tasso di occupazione femminile arrivasse ai livelli di quello maschile (67,1%), il Pil italiano potrebbe aumentare di oltre il 12%. Vantaggi per tutte e tutti, vantaggi per il Paese, vantaggi per le bambine e i bambini, ma l’Italia sembra sempre non esserne convinta fino in fondo.

Ma voglio chiudere con una provocazione: se la cura dei bambini fosse quasi totalmente a carico degli uomini anziché elle donne, ne staremmo ancora parlando?

Leggi anche
Infanzia
di Sofia Schiappa 5 min lettura