Futuro

La salute è un progetto

La vita si allunga. Ma anche le malattie durano di più. Un grande ripensamento dei servizi che servono alla salute è necessario. Un passo decisivo potrebbe essere lo European Health Data Space
Credit: Annie Spratt
Tempo di lettura 4 min lettura
4 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Alla metà dell’Ottocento, la speranza di vita degli umani si fermava a 40 anni. Oggi nei Paesi sviluppati raggiunge gli 80 anni.

È un grande risultato, ovviamente, della medicina e del miglioramento delle condizioni di vita. Ma mentre si allunga il tempo della vita, purtroppo, dura di più anche il tempo della sofferenza.

In un Paese come il Regno Unito, le persone vivono gli anni finali della loro esistenza da ammalate per un periodo di tempo sorprendentemente lungo: 16 anni per gli uomini e 19 anni per le donne, scrive la genetista Coleen Murphy nel suo libro How we age. The science of longevity (Princeton University Press 2023). Negli altri Paesi sviluppati la situazione non è troppo diversa.

I servizi per la salute devono evolvere. Non solo perché il costo di sistemi sanitari di qualità per popolazioni che ne hanno bisogno così a lungo potrebbe essere insostenibile. Ma anche perché il vero scopo dei servizi per la salute non dovrebbe essere soltanto quello di tenere a lungo in vita delle persone malate, ma anche quello di migliorare la durata della vita delle persone sane.

In questo senso, deve probabilmente cambiare il concetto stesso di servizi sanitari. Se oggi comprendono soprattutto gli ospedali, le farmacie, gli studi medici e così via, in futuro il concetto potrebbe riguardare, almeno sotto certi punti di vista, tutte le attività nei quali si migliora la qualità della vita per prevenire le malattie: come si mangia, come ci si educa, come si fa sport, come ci si muove, e così via.

Il tutto potrebbe essere immerso in un ambiente digitalizzato che consenta alle persone di accedere a servizi sanitari da remoto, di connettersi a sistemi che consiglino soluzioni per vivere in modo sano, di condividere esperienze con il network di persone che vivono problemi simili in format mediatici di qualità garantita, magari anche di monitorare l’equilibrio del proprio stile di vita.

Condividendo dati di questo tipo, in modo tale da garantire comunque sempre la privacy, nel lungo periodo, la stessa scienza della salute potrebbe fare passi da gigante, magari correlando i dati anonimizzati con altre caratteristiche territoriali, tipo l’inquinamento, la qualità dei trasporti, l’ineguaglianza sociale.

Come sarà disegnato un sistema così complesso come quello appena tratteggiato? Per Murphy, la principale battaglia da compiere in questo senso è proprio quella di disegnare un sistema che serva a tutti i ceti sociali.

I ricchi si stanno già attrezzando. I poveri sono in condizioni molto svantaggiate. E questo peraltro non potrà che avere ripercussioni su tutta la società. In secondo luogo, Murphy esplora anche le forme di cura e prevenzione che avvengono per via genetica: la scienza sta aprendo opportunità enormi in questo senso.

Di certo, la società deve anche attrezzarsi con sistemi di regole che possano favorire un sistema equilibrato: che salvaguardi i diritti umani, favorisca l’inclusione e l’eguaglianza, massimizzi l’efficienza e soprattutto si dia l’obiettivo di essere efficace sulla strada dell’allungamento della vita sana.

L’Europa si sta dando una grande riforma in questo senso. Si chiama European Health Data Space.

È stata scritta dalla Commissione e attualmente è in discussione tra il Parlamento e il Consiglio.

La nuova presidenza belga spera di portare il testo in discussione al Parlamento prima della fine della legislatura.

Le difficoltà sono immense. Equilibrare i diritti, la privacy, l’efficienza, le esigenze di uniformità nei diversi Stati, l’interoperabilità tecnica, l’accesso dei ricercatori ai dati e la condivisione dei risultati della ricerca, non sarà facile. Anche perché poi alcuni Stati dispongono di sistemi sanitari ben digitalizzati, altri sono più indietro.

Prima o poi si porrà anche la questione di mettere a fattor comune non solo in dati delle istituzioni sanitarie tradizionali, a partire dagli ospedali, ma anche quelli che sono in possesso delle aziende che attualmente li raccolgono con i telefoni o gli smartwatch. Prima o poi si aprirà anche questo nuovo terreno di confronto con le mega piattaforme digitali. Un assaggio si era avuto ai tempi delle applicazioni per il tracciamento durante la pandemia. In futuro il problema si ripresenterà moltiplicato per molte volte.

La scelta è di partire per passi precisi. Per esempio con l’obiettivo di consentire a tutti gli europei di poter avere a disposizione i loro dati sanitari se si trovano in un altro Paese dell’Unione e hanno bisogno di cure.

Oggi è impossibile. Ma l’esperienza accumulata nella gestione della pandemia di Covid-19 ha dimostrato che un’innovazione è possibile.

Leggi anche
Cop28
di Francesco Carrubba 4 min lettura
Gender gap
di Chiara Manetti 3 min lettura