Ambiente

Il cambiamento climatico sta alterando la geografia agricola

Dal cacao ivoriano agli uliveti mediterranei, la produzione agricola è condizionata dagli eventi climatici estremi dovuti alla crisi ambientale. Così, le coltivazioni storiche vengono ridisegnate
Promontorio del Gargano, (Foggia), alberi di ulivo per la produzione di olio di oliva</p>
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Promontorio del Gargano, (Foggia), alberi di ulivo per la produzione di olio di oliva

Credit: GIUSEPPE GIGLIA/ANSA

Tempo di lettura 6 min lettura
4 gennaio 2024 Aggiornato alle 08:00

Siccità, piogge torrenziali e tempeste stanno compromettendo le produzioni agricole di tutto il mondo.

La Costa d’Avorio, primo produttore mondiale di cacao, ha chiuso il 2023 con una contrazione dei raccolti del 25%. Secondo una ricerca condotta dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, le temperature in Costa d’Avorio e in Ghana aumenteranno di 3,8 °C entro il 2050 e mentre la fava di cacao può resistere alle alte temperature, il calore aggiunto toglie l’elevata umidità necessaria per la crescita, impedendo alla pianta di sopravvivere.

La Spagna, maggiore produttore di olio d’oliva, ha subito una contrazione nella produzione del 56% nell’anno 2022-2023 a causa di prolungate siccità e fenomeni climatici anomali, con conseguente difficoltà nel ripristino delle scorte.

In Italia, la produzione nello stesso periodo è crollata del 27%. Si prevede che la Grecia produrrà solo 200.000 tonnellate di olio quest’anno, un terzo in meno rispetto allo scorso anno a causa del caldo estremo e dei problemi legati alle infestazioni di moscerini della frutta.

Le conseguenze ricadono soprattutto sui lavoratori del settore.

Gli agricoltori affermano che i loro redditi hanno subito un duro colpo poiché i raccolti poveri si combinano con l’aumento dei costi di energia e manodopera.

Rafa Guzmán, un olivicoltore di Jaén - la culla della produzione olivicola spagnola - che è anche il capo locale di Asaja, la più grande associazione agricola spagnola, ha affermato in un’intervista a The Guardian che alcuni agricoltori stanno affrontando la rovina poiché le condizioni di siccità continuano a farsi sentire. «Il raccolto qui è diminuito del 70-80%», ha detto.

Entro il 2045, quasi tre quarti della produzione agricola mondiale sarà minacciata dal caldo in aumento con conseguenze per i lavoratori nei campi e per le principali colture chiave.

A dirlo è un’analisi di Verisk Maplecroft, società inglese di consulenza strategica e di rischio globale, che ha misurato 51 diversi rischi per 198 Paesi in 80 settori.

«Se le emissioni rimangono incontrollate e le temperature continuano a salire, le interruzioni estreme legate al calore nelle catene di approvvigionamento alimentare globali diventeranno sempre più comuni - ha affermato Will Nichols, analista specializzato in questioni climatiche - Questo aumenterà ulteriormente i prezzi, metterà a dura prova le economie e spingerà milioni di persone verso la fame».

Nove dei dieci Paesi che si prevede saranno più minacciati dal clima si trovano in Africa: tra i più a rischio il Ghana (il secondo produttore mondiale di cacao), il Togo e la Repubblica Centrafricana.

L’India è il primo grande produttore agricolo a rischio, come già è risultato evidente con l’ondata di caldo che ha bruciato i raccolti la scorsa primavera. Si prevede che il Brasile, il terzo produttore agricolo mondiale e una fonte primaria di alimenti di base tra cui arance, semi di soia e canna da zucchero, entrerà nella categoria di rischio estremo entro una generazione.

Nel continente europeo, sarà il Montenegro a registrare il rischio più elevato, salendo al 52esimo posto dal 127esimo attuale, mentre l’Italia passerà dal 143esimo posto attuale di rischio medio all’82esimo posto di rischio alto.

Negli Usa e in Cina, la condizione di rischio varia a seconda delle aree considerate; entro il 2045, gli Stati meridionali e sudorientali degli Stati Uniti e le regioni di Hainan, Guangdong, Guangxi e Fujian sono a rischio estremo. La Florida, se fosse considerato uno Stato autonomo, sarebbe il settimo maggiormente a rischio al mondo, con dati peggiori di Nicaragua, Guyana e Colombia.

Ma alle minacce per l’agricoltura corrispondono altrettante opportunità. In Arabia Saudita i fondi di investimento stanno puntando sulla produzione di olio extra-vergine di oliva. Ad Al-Jouf, al confine con Giordania e Iraq, sono stati già piantati più di 20 milioni di ulivi e si è raggiunta una produzione di 11.000 tonnellate di olio lo scorso anno.

La produzione di vino, storicamente legata all’Europa meridionale, potrebbe presto vedere l’emersione di nuovi attori importanti. Il Belgio ha visto un incremento della quantità di vino prodotta, registrando un record di 3 milioni di litri prodotti grazie alle condizioni meteorologiche favorevoli e all’incremento dei vigneti; tra le varietà maggiormente prodotte, va affermandosi lo Chardonnay.

La Scandinavia, nota principalmente per birra e liquori, ha intrapreso un’avventura vinicola grazie ai cambiamenti climatici e agli appassionati di vino locali. Tradizionalmente, la viticoltura era inesistente in questa regione, ma ora sta guadagnando terreno, in particolare in Danimarca e nella Svezia meridionale. Nonostante la mancanza di tradizione vinicola, la Danimarca si sta affermando nel settore, con Dons che detiene l’unico status Dop nella regione. La maggiore sfida per i produttori di vino danesi rimane tuttavia l’esportazione, a causa dei prezzi elevati.

Un attore emergente proviene anche dall’Africa: la Nigeria si sta affermando come uno dei leader emergenti della produzione di vini. Storicamente noto per il consumo interno di birra, il mercato vinicolo nigeriano ha visto una crescita triplicata nell’ultimo decennio, con un valore previsto per il 2025 di 570,9 milioni di dollari.

E in Italia? Caso particolare riguarda la coltivazione di frutti esotici. Le coltivazioni di frutta esotica tra Sicilia, Puglia e Calabria sono triplicate negli ultimi cinque anni e hanno superato i mille ettari: si produce mango, ma anche avocado, banane, frutto della passione, anona, feijoa, casimiroa, zapote nero, litchi che spesso soppiantano le agrumeti, meno remunerativi.

Secondo Coldiretti, negli ultimi 15 anni in Sicilia, dove la raccolta di mango prosegue fino a novembre, il terreno coltivato ad arance è diminuito del 31%, quello dei mandarini del 18%, quello dei limoni addirittura del 50%. La ragione è legata all’aumento delle temperature nel Meridione, che negli ultimi anni ha portato a una conseguente “tropicalizzazione” delle coltivazioni.

Gli effetti dei cambiamenti climatici sono già ben visibili sulle coltivazioni. E nei prossimi anni intere aree potrebbero dover ridisegnare intere produzioni ancor più di quanto si stia già facendo. E gli equilibri economici interni ai Paesi potrebbero presto cambiare.

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