Diritti

Brasile: i popoli indigeni perderanno le loro terre

Nonostante la sentenza contraria della Corte Suprema e il veto del presidente Lula, la nuova legge approvata dal Congresso minaccia i diritti dei nativi brasiliani e favorisce l’agroindustria
Credit: EPA/Joedson Alves
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3 gennaio 2024 Aggiornato alle 13:00

In Brasile i popoli indigeni perderanno l’accesso alle terre protette in cui si sono stabiliti prima del 1988, con conseguenze anche sull’ambiente. La nuova legge approvata dal Congresso riduce infatti i loro diritti fondiari e permette all’industria mineraria e agricola di espandersi nei terreni che gli indigeni non potranno più rivendicare.

A settembre 2023 la Corte Suprema brasiliana aveva riconosciuto ai popoli indigeni di poter rivendicare le loro terre ancestrali, ovvero le terre originarie dei loro avi, rimuovendo qualsiasi limitazione temporale a questo diritto. Ma una settimana dopo, il voto del Senato ha ribaltato la sentenza favorendo la proposta di un nuovo disegno di legge che, a 3 mesi di distanza, il Congresso ha convertito in legge.

In vista della controversa votazione, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva aveva posto il veto su diverse parti del disegno di legge noto come PL 2903, ma con 321 voti contro 137 (ben più della maggioranza assoluta necessaria per respingere un veto presidenziale) la maggioranza della Camera bassa brasiliana ha respinto il veto sulla limitazione temporale e ha permesso l’adozione della legge.

Nonostante la Corte Suprema avesse inizialmente dichiarato incostituzionale l’argomento legale utilizzato dai partiti conservatori vicini all’agroindustria, detto “marcatore temporale”, la nuova legislazione nega tuttavia ai popoli indigeni il riconoscimento dei territori che non hanno occupato prima del giorno in cui è stata adottata la Costituzione del Brasile, il 5 ottobre 1988.

Per i critici, però, questa scadenza non tiene conto delle numerose comunità indigene obbligate ad allontanarsi dalle loro terre ancestrali prima di quella data, in particolare durante la dittatura militare brasiliana del 1964-1985, e pertanto invaliderà decine di legittime rivendicazioni per il riconoscimento delle terre indigene.

L’organizzazione Apib, Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile, ha fatto sapere che si rivolgerà nuovamente alla Corte Suprema del Paese presentando un ricorso per incostituzionalità di quella che viene definita una “legge sul genocidio indigeno”. Accusata di esporre i nativi brasiliani al rischio di ulteriori violenze e soprusi, la nuova legislazione minaccia anche di accrescere la deforestazione e la distruzione della biodiversità delle terre ancestrali.

Oltre a stabilire il tanto contestato “marcatore temporale”, i legislatori hanno autorizzato gli occupanti non indigeni delle terre native, compresi i taglialegna illegali e gli allevatori, a utilizzare quei terreni fino a quando i popoli indigeni che li hanno rivendicati non otterranno il loro riconoscimento come area protetta, anche se si tratta di processi legali che possono durare decenni.

Il Congresso ha inoltre annullato i veti proposti da Lula che impedivano di utilizzare i terreni nativi espropriati per estrazioni minerarie, installazioni di attrezzature militari e costruzioni di strade senza previa consultazione della popolazione indigena o della Funai, l’Agenzia brasiliana per gli affari indigeni.

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