Diritti

Il caso Saman Abbas (non) si ripete

Una ventenne originaria del Pakistan è riuscita a rivolgersi agli assistenti sociali di Novellara scongiurando un destino forse simile a quello della coetanea uccisa dai suoi genitori ad aprile 2021
Credit: Angela Roma  

Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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27 dicembre 2023 Aggiornato alle 16:00

Viveva a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, la giovane di origini pakistane riuscita a ribellarsi a un matrimonio combinato che le aveva imposto la sua famiglia nel 2021.

Secondo quanto emerge dalle indagini, la ragazza, poco più che ventenne, non poteva uscire di casa, cercarsi un lavoro, o avere contatti con il mondo esterno. Non aveva nemmeno potuto proseguire gli studi dopo l’esame di terza media: suo padre non gliel’aveva concesso.

Di recente aveva riferito agli assistenti sociali (venuti a casa non per lei, ma per i fratelli, su segnalazione della scuola) che lui voleva che partisse per il Pakistan per celebrare il matrimonio di persona e che l’aveva minacciata: se non si fosse sposata con il cugino, avrebbe fatto “la stessa fine di Saman Abbas”, riporta l’Ansa. Ma la giovane è riuscita a scappare e ora si trova in una località segreta, seguita dagli assistenti sociali di Novellara e protetta dai carabinieri.

Nei confronti del padre 52enne e di sua moglie di 37 anni, entrambi di nazionalità pakistana, le autorità hanno disposto il braccialetto elettronico, il divieto di comunicare e di avvicinarsi a meno di 500 metri dalla ragazza.

I coniugi rispondono di maltrattamenti in famiglia, l’uomo anche del reato di costrizione o induzione al matrimonio.

Secondo la giovane, la madre sarebbe stata uccisa in Pakistan per mano dello zio, padre del suo sposo, quando lei era appena nata. Ufficialmente, però, il decesso sarebbe avvenuto per cause naturali.

La vicenda somiglia in tutto e per tutto a quella di Saman Abbas, ma con un epilogo diverso: come lei la protagonista di questa vicenda è nata in Pakistan, nel Punjab, abitava a Novellara con la famiglia, ha circa vent’anni, si è opposta a un matrimonio combinato e si è rivolta agli assistenti sociali per denunciare i propri genitori. Nel caso di Saman, tuttavia, l’intervento dei servizi sociali non è bastato: meno di dieci giorni fa il padre e la madre sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Reggio Emilia per l’omicidio della figlia, avvenuto nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021.

Un anno prima la ragazza di origini pakistane, ancora 17enne, si era rivolta ai servizi sociali per denunciare la madre Nazia Shaheen e il padre Shabbar Abbas per maltrattamenti e per il reato di induzione al matrimonio: volevano imporre a Saman di sposarsi con un cugino in Pakistan. Lei era stata portata in una struttura protetta per minori fino all’11 aprile 2021. Poi era tornata a casa per recuperare il passaporto, ma il 22 aprile aveva denunciato il sequestro dei documenti da parte dei genitori. Poi, il 30 aprile, la giovane era scomparsa. I suoi resti sono stati ritrovati solo il 19 novembre 2022.

Una storia simile potrebbe essersi svolta anche a Brescia, nel 2018: secondo le autorità italiane Sana Cheema, una ragazza italiana di origini pakistane di 24 anni, sarebbe stata uccisa dal padre e dal fratello per essersi opposta al matrimonio combinato dalla famiglia in Pakistan.

A marzo la Corte d’Assise andrà nel Paese d’origine dei genitori per sentire una serie di testimoni. Questa pratica patriarcale uccide ogni anno centinaia di donne in Pakistan, colpevoli di aver “disonorato” la propria famiglia: le statistiche della Commissione per i diritti umani del Paese aveva segnalato 1.276 omicidi di questo tipo tra il 2014 e il 2016, di cui solo 400 ufficialmente registrati come crimini dalla polizia.

Nel 2016 il governo del Pakistan ha modificato la legislazione sui “delitti d’onore” in modo da condannare gli assassini all’ergastolo obbligatorio (prima potevano essere graziati dalla famiglia della vittima, per esempio). Nonostante questo cambiamento epocale, però, i colpevoli continuano a sfuggire alla giustizia, secondo i gruppi per i diritti umani.

Tuttavia, c’è chi si ribella a una tradizione patriarcale che opprime e uccide le donne: tra le storie che i giornalisti e le giornaliste del Guardian hanno raccolto sulle persone incontrate in tutto il mondo nel 2023 che hanno “alimentato le nostre speranze per l’umanità”, ce n’è una che si lega (al contrario) a quella di Samman e delle sue connazionali.

Proviene dall’India: parla di Prem Gupta, un padre che ha salvato la figlia Sakshi da un matrimonio violento. Quando ha saputo che il marito la maltrattava, ha deciso di salvarla: altri le avrebbero detto di tollerare gli abusi per salvare la famiglia dallo stigma del divorzio, come accade a milioni di altre donne in India. Ma Gupta si è presentato a casa di Sakshi a Ranchi, nello stato del Bihar, per dirle di andarsene.

Ha radunato i parenti, assunto una banda e guidato un corteo verso la casa di sua figlia, per «riportarla a casa con lo stesso orgoglio e senso di festa con cui l’ho mandata il giorno del suo matrimonio».

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