Ambiente

Al Jaber insiste sul petrolio e per gli scienziati la Cop28 è un fallimento

Finita la conferenza di Dubai il presidente racconta gli investimenti della sua azienda petrolifera. Nel frattempo decine di scienziati tornano a ribadire l’urgenza di abbandonare petrolio e gas
Credit: EPA/MARTIN DIVISEK  

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15 dicembre 2023 Aggiornato alle 18:00

Per la maggior parte degli esperti, i delegati e tutti coloro che frequentano le Cop da anni il messaggio finale che è uscito dal vertice di Dubai, per visione, non ha precedenti: è di fatto la prima volta che si affronta una “transizione” verso un addio, seppur lentissimo, dei combustibili fossili.

Chi però guarda giustamente al bicchiere mezzo vuoto, dato che il tempo a disposizione è pochissimo, vede altro: la mancata e rapida uscita graduale dai combustibili fossili, il cosiddetto phase out. Quest’ultima era una posizione che oltre 130 nazioni erano disposte ad accettare, ma evidentemente il blocco guidato da Arabia Saudita e Russia, in casa degli Emirati del petrolio, ha contato a tal punto che solo il lavoro dietro le quinte di Usa e Cina ha garantito poi il compromesso finale a cui si è arrivati.

Oltre a quelle nazioni cresce però, soprattutto dopo il finale della Conferenza, il fronte di scienziati, rappresentanti degli stati insulari, ministri dei Paesi più vulnerabili e associazioni ambientaliste, che non è affatto soddisfatto per gli accordi finali, tanto da parlare di “fallimento” della Cop28.In mezzo, come sempre, c’è una verità fatta da una parte di un tempo ormai esaurito, con il Pianeta che già il prossimo anno potrebbe superare i +1,5 °C, e dall’altra l’aver ottenuto un primo e “storico” documento in grado di illuminare la rotta per l’uscita dal fossile.

Il presidente della Cop28, dal canto suo, ha parlato di “vittoria” e di “essere finalmente passati all’azione”. Nel tempo, lo stesso Al Jaber, che ricordiamo è Amministratore delegato di una compagnia petrolifera, la Adnoc, ha riconosciuto la necessità di uscire gradualmente dal fossile, senza però sbilanciarsi mai realmente su date e modi. Non stupisce dunque che, conclusa la Cop, Al Jaber abbia rilasciato una intervista a The Guardian in cui sostiene che porterà avanti, in quanto a della Adnoc, gli investimenti nel petrolio. Questo controsenso, di uomo che ha coordinato l’accordo globale per arrivare all’abbandono dei combustibili fossili e contemporaneamente spinge per produrre sempre più greggio, è stato il filo rosso prima, durante ed evidentemente anche dopo la fine dei lavori a Dubai.

«Il mio approccio - spiega lo stesso Al Jaber - è molto semplice: continueremo ad agire come fornitori responsabili e affidabili di energia a basse emissioni di carbonio, e il mondo avrà bisogno di barili a basso contenuto di carbonio al costo più basso», ha detto sostenendo che gli idrocarburi di Adnoc contengono meno carbonio perché vengono estratti in modo efficiente e con minori perdite rispetto ad altre fonti.

Spiega poi che finché ci sarà domanda, per molti aspetti la produzione continuerà: «Quando poi la domanda si ferma, la storia è completamente diversa. Ciò che dobbiamo fare adesso è decarbonizzare l’attuale sistema energetico, mentre costruiamo il nuovo sistema energetico», sostiene l’emiratino aggiungendo che Adnoc ha rinunciato a ulteriori estrazioni ma non rinuncerà al piano di investimenti da quasi 150 miliardi di dollari in sette anni in petrolio e gas.

Se nel tempo saranno investimenti a perdere, dato che come sostiene il segretario Onu Antonio Guterres la fine dei combustibili fossili è “inevitabile”, la domanda è quando l’uscita accadrà: per l’Opec e i produttori di petrolio si continuerà così fino almeno fino al 2045-2050, ma secondo gli scienziati se si dovesse insistere con il fossile per altri trent’anni i processi climatici già in corso potrebbero davvero diventare irreversibili.

Per questo motivo, per una mancata chiarezza e tempistica sul phase out dalle fonti fossili, da decine di scienziati che hanno parlato dopo la fine della Cop sino agli oltre mille di Scientist Rebellion che hanno lanciato una lettera appello per chiedere la fine delle fossili, c’è molta amarezza per quanto concordato a Dubai, tanto da definire “devastante” il mancato addio graduale al fossile.

«La mancanza di un accordo per eliminare gradualmente i combustibili fossili è stata devastante», ha ricordato a esempio il professor Michael Mann, climatologo e geofisico presso l’University of Pennsylvania. Un altro gruppo di scienziati, su Nature, scrive che si è trattato di “una occasione mancata” e in contrasto rispetto “agli obiettivi fondamentali stabiliti nell’accordo sul clima di Parigi del 2015.

C’è solo una strada percorribile da seguire, ed è che tutti eliminino gradualmente quasi tutti i combustibili fossili il più rapidamente possibile” si legge nell’editoriale.Concetto ripetuto anche da Friederike Otto, climatologa dell’Imperial College, che sostiene come «fino a quando i combustibili fossili non saranno gradualmente eliminati, il mondo continuerà a diventare un luogo più pericoloso, più costoso e più incerto in cui vivere».

In sostanza, anche in vista della prossima Cop29 a Baku nell’Azerbaigian del petrolio e gas, la scienza ci avverte dunque nuovamente: gli interessi economici, se davvero vogliamo evitare un Pianeta in ginocchio, dovranno passare in secondo piano rispetto alle esigenze della natura.

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