Ambiente

Cop28: le piccole nazioni insulari non firmeranno un accordo che sembra un certificato di morte

A Dubai, la Conferenza si sarebbe dovuta concludere questa mattina, ma le trattive sono ancora in corso. Arabia Saudita e Iran tengono in ostaggio i negoziati. Speranza nella mediazione di Stati Uniti e Cina
Credit: EPA/ALI HAIDER    
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12 dicembre 2023 Aggiornato alle 12:30

Siamo ancora qui. Chi l’avrebbe mai detto?

A Dubai è martedì pomeriggio del 12 dicembre. Secondo il calendario ufficiale dell’Unfccc, questa edizione della Conferenza delle Parti avrebbe dovuto essersi già conclusa da qualche ora, coronata dalla consueta assemblea plenaria, che avrebbe dovuto porre fine a queste due settimane di negoziati intorno alle 11 ora locale.

Eppure, Cop28 non ha chiuso i battenti. C’era da aspettarselo.

In questo momento, le scommesse su quando tutto questo finirà lasciano il tempo che trovano.

Mentre vi scriviamo, tutto tace.

Occhi puntati sulla pubblicazione del nuovo testo del Global Stocktake (Gst), che si dice sarà presentato dalla Presidenza degli Emirati intorno alle 18 ora di Dubai.

A parlare in conferenza stampa, questa mattina, il Director-General di Cop28, Majid al-Suwaidi, che conferma l’ipotesi di molti sul contenuto volutamente provocatorio del primo Gst diffuso ieri.

«Il testo che abbiamo rilasciato era un punto di partenza per le trattative. È così in ogni processo che si basi sul consenso delle parti. Sapevamo già che le opinioni fosse polarizzate, ma non sapevamo quali fossero i passaggi non negoziabili per ogni Stato», ha dichiarato. «Pubblicando la prima bozza del testo, abbiamo fatto sì che tutte le Parti venissero da noi velocemente, comunicandoci questi passaggi. È su questo che abbiamo lavorato tutta la notte, e da questi feedback presenteremo un nuovo testo».

Era tutto calcolato, dunque.

Non ci resta che aspettare, aggrappandoci alla speranza che la versione aggiornata includerà un linguaggio chiaro sul phase out (cioè sulla graduale eliminazione dei combustibili fossili), conditio sine qua non secondo la comunità scientifica per mantenere vivo l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 °C.

Nel frattempo, vale la pena tornare su quanto accaduto a Dubai nel pomeriggio di lunedì, non appena il testo del Global Stocktake ha iniziato a circolare. Si fa fatica a non rimuginare su ciò a cui si è assistito ieri al media center di Cop28 nei minuti subito successivi alla sua diffusione, quando delegati e negoziatori appartenenti al blocco dei Paesi più ambiziosi - un insieme di circa 80 Stati tra cui Unione europea, Stati Uniti e piccoli nazioni insulari – hanno manifestato senza filtri l’indignazione per un testo definito irricevibile e inaccettabile su ogni fronte.

A tal proposito, le parole di Cedric Schuster, rappresentante di Samoa e presidente dell’Alleanza dei Piccoli Stati Insulari (Aosis), sono state riportate a più riprese dalla stampa. Schuster, visivamente provato dalla stanchezza e dalla frustrazione, ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti: «Non firmeremo il nostro certificato di morte. Non possiamo accettare un testo che non contenga impegni forti sulla graduale eliminazione dei combustibili fossili».

Ricordiamolo ancora una volta: per buona parte dei piccoli Stati insulari, superare la soglia di +1,5 °C di temperatura rispetto all’età preindustriale comporterebbe un innalzamento del livello del mare tale da provocare l’inabissamento delle terre emerse, la scomparsa di intere comunità, la perdita di vite. Per gli abitanti di questi territori, quindi, quella per il phase out non è soltanto una lotta squisitamente diplomatica. È una lotta per la sopravvivenza.

I Petrostati, tuttavia, non sembrano disposti a cogliere il valore esistenziale di questa battaglia. Continua infatti a preoccupare la ferma opposizione del gruppo dei cosiddetti dirty five (Arabia Saudita, Russia, Kuwait, Iran e Iraq), Paesi le cui economie nazionali si reggono sulla produzione e sull’esportazione di petrolio e gas, e che hanno dunque tutto l’interesse nel persistere nel tentativo di indebolire ulteriormente il linguaggio relativo ai combustibili fossili nella prossima bozza.

In questo quadro, in molti ormai sostengono che il raggiungimento di un accordo bilaterale tra Cina e Stati Uniti sarà decisivo, e che la mediazione delle due superpotenze mondiali potrebbe rappresentare l’ago della bilancia. Con le trattative ancora in alto mare, Xie e Kerry, rispettivi inviati speciali per il clima dei due Paesi, stanno cercando di forgiare un compromesso tra quasi 200 Paesi.

I due uomini starebbero spingendo per una terza via, che è di fatto la variazione di un accordo già firmato tra i due attori qualche mese fa, e che proponeva maggiori investimenti sulle energie rinnovabili “per accelerare la sostituzione della produzione di carbone, petrolio e gas”.

Non sarebbe la migliore delle formulazioni possibili, è evidente. Ma sarebbe comunque meglio dell’attuale “ridurre la produzione e il consumo dei combustibili fossili”.

Sebbene le posizioni di Cina e Stati Uniti sulle politiche climatiche divergano sotto diversi aspetti, li accomuna tuttavia il sostegno per triplicare le energie rinnovabili entro il 2030. Inoltre, i due hanno una forza diplomatica e un’influenza che a Dubai è senza rivali. Non va dimenticato che fu proprio l’intesa tra Kerry e Xie a gettare le basi per lo storico Accordo di Parigi adottato a Cop21 nel 2015.

Ma che aria si respira oggi?

In mattinata, gli spazi dell’Expo di Dubai sono quasi deserti.

Si vocifera che le trattive si siano protratte per tutta la notte, con le ultime delegazioni che avrebbero lasciato la blue zone – l’area adibita alle consultazioni - soltanto alle prime luci dell’alba.

Le negoziazioni proseguono a rilento, a porte chiuse. Sono pochissime le notizie che trapelano. Sono ore concitate, ore interminabili di logorante attesa.

In vista della nuova versione del testo che con ogni probabilità sarà diffusa nel primo pomeriggio, non ci resta che restare a guardare.

C’è molta stanchezza. Ma non è questo il momento per cedere.

Per molti, accettare un accordo al ribasso significa andare al patibolo. Hold the line, recitavano i cartelli degli attivisti per il clima, impegnati ieri in una protesta silenziosa davanti alla sede della plenaria, a negoziazioni ancora in corso.

Mantenere la linea, resistere. Per rispetto di chi, in queste ore, si sta battendo oltre le proprie forze per garantire a se stesso, e alla propria comunità, il diritto ad abitare questo Pianeta.

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