Ambiente

Cop28: a Dubai inizia il rush finale

La seconda settimana di Conferenza entra nella sua fase più delicata (e politica). Pubblicata venerdì una nuova bozza del Global Stocktake: il phase out è ancora nel testo. In salita i negoziati sull’adattamento climatico
Credit: EPA/MARTIN DIVISEK  

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11 dicembre 2023 Aggiornato alle 10:00

In questi ultimi giorni, Cop28 è entrata nella fase più delicata: quella delle negoziazioni che si protraggono fino a tarda notte, senza sosta, e che ruotano attorno a cavilli linguistici apparentemente insignificanti e da cui tuttavia dipende il futuro della governance climatica e del Pianeta.

L’obiettivo è quello di raggiungere entro domani, giornata conclusiva della conferenza, un accordo che trovi il favore di tutte e 198 le Parti e che possa essere approvato in seduta plenaria.

Lo ricordiamo: la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Unfccc) sancisce che l’approvazione della cover decision avvenga secondo la regola del consensus. Serve l’assenso di tutti i Paesi, nessuno escluso.

Se è vero che l’unanimità è una straordinaria garanzia di uguaglianza tra i Paesi membri – per capirci, nazioni come Tuvalu e Cina hanno di fatto lo stesso potere decisionale in sede Cop – è altresì vero che questo meccanismo conferisce ai petrostati un potenziale di ricatto immenso, e che in passato si è spesso tradotto in accordi al ribasso.

Ma che cosa è successo nelle ultime ore a Dubai?

L’8 Dicembre, che ha aperto la seconda settimana di negoziati, da Dubai sono arrivate (altre) cattive notizie che riguardano il nostro Paese.

Secondo un rapporto presentato e prodotto da Germanwatch, Can e NewClimate Institute, l’Italia è scivolata dal 29º al 44º posto nella classifica annuale che misura le performance climatiche degli Stati.

Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, è necessaria una “drastica inversione di rotta”, dal momento che il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pnec) attuale prevede solo un modesto taglio del 40% delle emissioni entro il 2030, ampiamente insufficiente rispetto alle raccomandazioni della scienza.

Come riportato da Repubblica, Ciafani aggiunge che secondo il Paris Compatible Scenario elaborato da Climate Analytics, entro il 2030 il nostro Paese potrebbe ridurre le sue emissioni climalteranti di almeno il 65%, arrivare nel 2035 al 100% di rinnovabili nel settore elettrico, confermando l’uscita dal carbone entro il 2025 e prevedendo quella dal gas fossile entro il 2035. Ma allo stato attuale il traguardo è ancora lontanissimo, e le politiche attuali mancano dell’ambizione necessaria per raggiungerlo. A ricordarcelo, ancora una volta, gli attivisti per il clima di Extinction Rebellion, che nel pomeriggio di sabato sono stati protagonisti di un’azione coordinata in diverse città dello Stivale, issando striscioni che hanno lanciato un messaggio inequivocabile: “Il governo parla, la terra affonda”.

Ad ogni modo, a farla da padrone nel secondo giorno della seconda settimana di Cop28 è ancora il Global Stocktake.

Nel pomeriggio del venerdì 8 dicembre, è stata presentata una nuova bozza del testo che, mentre vi scriviamo, rappresenta di fatto il risultato politico più significativo fino a questo momento.

Il documento, composto da 27 pagine, comprende oltre 140 opzioni e sotto-opzioni su cui si dovrà trovare un accordo in vista dell’approvazione finale in seduta plenaria, prevista per il 12 Dicembre.

Riguardo alla graduale eliminazione o riduzione dei combustibili fossili, sono state proposte 5 opzioni, ciascuna con diversi livelli di ambizione.

La buona notizia è che il phase out è ancora nel testo. Altri segnali positivi nella bozza attuale includono impegni a breve termine sul pacchetto energetico, un aumento delle energie rinnovabili, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili entro il 2050 in linea con le indicazioni scientifiche dell’Ipcc, la parziale riduzione dei sussidi ai combustibili fossili, la richiesta di piani nazionali più ambiziosi entro il 2025, progressi verso la creazione di nuove piattaforme nazionali per il finanziamento della transizione e l’ambizione di avanzare su questi punti entro la Cop30.

Non altrettanto positivi i riferimenti al gas (a cui è associato il termine “di transizione”); un linguaggio troppo vago sull’abbattimento delle emissioni che è ancora presente nel testo; l’inclusione della cattura e stoccaggio del carbonio (conosciuta agli addetti ai lavori con la sigla Ccs, carbon capture and storage), una tecnologia che finora ha dimostrato di essere altamente costosa e inefficace; l’assenza di maggiori finanziamenti per l’adattamento. Nella giornata di oggi, 11 dicembre, è attesa la pubblicazione di una nuova bozza, forse quella definitiva. Staremo a vedere.

In risposta a questo nuovo testo, nella giornata di venerdì a Cop28 è entrata in scena anche l’Opec.

Con una dura lettera pubblicata da The Guardian, il gruppo storico dei petrostati del Golfo, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran e Iraq (e a partire da gennaio 2024 anche il Brasile), ha esplicitamente chiesto ai suoi 13 membri di rifiutare ogni testo che contemplasse l’opzione del phase out dei combustibili fossili.

Questa lettera ha sollevato le reazioni indignate della società civile, nonché di molti rappresentanti delle istituzioni presenti a Dubai. La ministra della transizione ecologica spagnola, Teresa Ribera, ormai rappresentante di punta della delegazione dell’Ue a questa conferenza, assieme al più defilato commissario per il clima Hoekstra, l’ha definita un ricatto morale “inaccettabile”.

A Dubai, la mattinata di domenica è stata animata dalla pubblicazione di una nuova bozza sul tema dell’adattamento, che dimostra che quasi nessun passo avanti è stato fatto sul Global Goal on Adaptation (Gga), il nuovo framework avviato alla Cop26 di Glasgow e da approvare entro questa Cop.

Il Gga rappresenta uno strumento chiave a disposizione degli Stati, delle comunità locali ma anche del settore privato per aumentare la resilienza di popolazioni ed ecosistemi e ridurre la loro vulnerabilità ai cambiamenti climatici.

Dopo due anni di workshop tecnici attraverso il programma di lavoro Glasgow-Sharm el-Sheikh e una settimana di negoziati intensi alla Cop28, il nuovo testo, che si estende su sette pagine, riflette già numerosi compromessi.

Ma partiamo dalle buone notizie.

Positivo è l’inquadramento del Gga nei principi dell’Accordo di Parigi, compresi quelli di equità e di responsabilità comune ma differenziata (Cbdr). Va poi accolta con ottimismo l’identificazione di una timeline che chiede agli Stati l’aggiornamento di tutti i piani nazionali di adattamento entro il 2025, e una loro completa implementazione entro il 2030, nonché dello sviluppo di una rete di sistemi di prevenzione (i cosiddetti early warning systems), a cui tutti i Paesi sono chiamati a far parte entro il 2027.

Va poi notato che il testo include anche riferimenti, seppur generici, su tematiche cruciali quali gestione delle risorse idriche, cibo, agricoltura e salute.

Tuttavia, le criticità sono moltissime.

Su tutte, la mancanza di un linguaggio puntuale riguardo ai means of implementation (MoI), cioè i mezzi di attuazione, che non vengono esplicitati in riferimento a nessuno degli obiettivi citati in precedenza.

Ancor più grave, la questione della finanza climatica per l’adattamento, che rimane nebulosa: la bozza si limita infatti a ribadire un vago (e non vincolante) impegno delle parti a raddoppiare l’obiettivo di finanziamento per l’adattamento entro il 2025 ma senza fornire obiettivi quantitativi concreti e misurabili, né tantomeno indicazioni sulle modalità di finanziamento.

I delegati provenienti da Paesi vulnerabili sono estremamente preoccupati per i limitati progressi compiuti alla Cop28 riguardo all’adattamento, e temono che ciò avrà conseguenze catastrofiche per le comunità che si trovano in prima linea contro il cambiamento climatico, specialmente in Africa.

Soltanto poche settimane fa, l’Adaptation Gap Report pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, aveva rivelato che, a fronte dei 21 miliardi in finanza climatica per l’adattamento mobilitati nel 2021, sarebbero necessari tra 215 e 387 miliardi di dollari all’anno.

Nel frattempo, arrivano nuove dichiarazioni di Al Jaber, che nel pomeriggio di domenica ha annunciato una nuova modalità negoziale, il majlis, un incontro ministeriale che vede la partecipazione di tutti i Paesi, e che ricorda la tradizionale conferenza degli anziani propria della cultura araba emiratina.

In questa occasione, le dichiarazioni di Al Jaber hanno colpito positivamente. «Voglio che tutti vengano preparati con soluzioni, che siano pronti a essere flessibili e ad accettare compromessi. Ho detto ai ministri di non portare dichiarazioni preparate e nessuna posizione prescritta. È giunto il momento di superare gli interessi personali e di pensare al bene comune».

Va detto: queste parole lasciano spazio a un sentimento di timido ottimismo, che fa ben sperare sulla possibilità di giungere a un accordo entro la giornata conclusiva di domani, 12 Dicembre.

Eppure, sarebbe sciocco cedere proprio ora alla tentazione di illudersi prima che sia detta l’ultima parola.

Manca ancora un giorno di trattative. Un tempo infinito, che sembra quasi sospeso, in cui può ancora succedere di tutto. La storia delle negoziazioni climatiche ce lo ha insegnato.

La partita è ancora aperta.

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