Ambiente

Cop28: per il Loss & Damage servono miliardi, non milioni

Bene i primi fondi (tra cui quelli italiani) annunciati a Dubai. Ma quanti sono rispetto a quanto serve davvero per i Paesi più vulnerabili? Appena lo 0,2% annuo. Eppure una soluzione ci sarebbe
Credit: EPA/ALI HAIDER  

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7 dicembre 2023 Aggiornato alle 15:00

Passata l’euforia delle prime ore è tempo di fare due conti: quante perdite economiche e sociali coprono finora i soldi messi a disposizione per il famoso Fondo Loss & Damage?

Poco più dello 0,2% rispetto al denaro necessario per aiutare le perdite che i Paesi meno abbienti subiscono ogni anno.

Per raccontare quanto sta accadendo a Dubai alla Cop28 bisogna fare una premessa: è praticamente dal 1991, quando il piccolo stato insulare di Vanuatu chiese una sorta di risarcimento al mondo per il clima cambiato che stava impattando sulla vita nel Pacifico, che si ipotizza un fondo per le “perdite e danni” a favore dei Paesi più vulnerabili e colpiti dalla crisi del clima, soldi che devono mettere a disposizioni le grandi economie degli stati responsabili delle emissioni climalteranti.

Bene, di questo fondo non c’è stata una reale traccia fino allo scorso anno (oltre trent’anni dopo Vanuatu), quando alla Cop27 in Egitto sono state poste le prime basi per lanciarlo.

Ma passare dalla carta all’azione, mettendo davvero soldi a disposizione, è un’altra cosa: per questo quando alla Cop28 di Dubai è stato annunciato in apertura di Conferenza l’accordo sul Loss & Damage, con i primi Paesi che hanno comunicato i finanziamenti, tutti hanno esultato.

In soli due anni si è infatti passati dai primi milioni ipotizzati o promessi alla Cop26 di Glasgow a fondi molto più importanti.

Gli Emirati Arabi che ospitano la Cop e la Germania per esempio hanno annunciato entrambi 100 milioni di dollari, la Gran Bretagna 60 milioni di sterline, gli Stati Uniti 17,5 milioni di dollari (giudicati come “pochi”) e a sorpresa l’Italia e la Francia hanno messo sul piatto più di tutti, 100 milioni di euro a testa.

Se si sommano tutti i soldi promessi dai vari paesi si arriva a oltre 720 milioni di dollari, una cifra sviolinata anche dal presidente-petroliere della Cop28 Al Jaber, il quale - anche per smarcarsi dalle varie polemiche sull’uscita graduale dalle fonti fossili - ha ricordato a più riprese sia l’importanza dell’intesa sul Loss & Damage sia gli ormai quasi oltre 80 miliardi di dollari raccolti finora per le varie iniziative di finanza climatica.

Cifre che - dice il presidente - raccontano la caratteristica di questa Conferenza sul clima: il passaggio all’azione.

Sebbene ci siano forti critiche in questo vertice, per esempio, per la mancanza di fondi destinati all’adattamento, oppure alle comunità indigene, o ancora per la questione cruciale del phase-out dalle fonti fossili, l’intesa sul fondo Loss & Damage e i primi soldi raccolti sono stati celebrati in tutto il mondo come una vittoria.

Ma è davvero così? Se la si guarda da un punto di vista di un primo accordo e dell’operatività allora sì, ma se si punta invece a capire se questi soldi sono sufficienti rispetto a quanto l’impatto della crisi del clima richiede allora assolutamente no.

Osservando solo le “perdite e danni”, diverse associazioni del clima presenti anche a Dubai ricordano infatti che 720 milioni di dollari sono appena lo 0,2% rispetto agli oltre 400 miliardi, all’anno, necessari per i Paesi in via di sviluppo.

Le stime per il costo annuale variano infatti da 100 a 580 miliardi.

Solo per dare un’idea, a livello di disastri climatici per le alluvioni che hanno colpito il Pakistan sono necessari come minimo 7 miliardi.

Come ha detto Harjeet Singh, responsabile della strategia politica globale del Climate Action Network International, che raduna quasi 2.000 gruppi climatici, «gli impegni iniziali di oltre 700 milioni di dollari impallidiscono rispetto all’enorme bisogno di finanziamenti, stimato in centinaia di miliardi all’anno. Il ritardo di oltre 30 anni nell’istituzione di questo fondo, unito ai magri contributi da parte delle nazioni ricche, in particolare degli Stati Uniti, il più grande e storico inquinatore, segnala una persistente indifferenza verso la difficile situazione del mondo in via di sviluppo».

Sempre tenendo la barra dritta su adattamento (per cui ci sono stati pochi fondi) e mitigazione (indispensabile per far funzionare il Loss & Damage), la maggior parte degli esperti ricorda che per aiutare davvero i vari Paesi colpiti servirebbero “centinaia di miliardi di dollari di denaro pubblico”.

Il Wwf ricorda che i mercati emergenti e i Paesi in via di sviluppo al di fuori della Cina necessitano di 2,4 trilioni di dollari di investimenti all’anno entro il 2030 per una giusta transizione energetica, adattamento e resilienza, perdite e danni, conservazione e ripristino della natura.

Ma allora, dato che servirebbero davvero miliardi e non milioni, come potremmo ottenerli? Un’idea è quella che rilancia da tempo Mia Mottley, premier delle Barbados: tassando i servizi finanziari globali e i profitti dell’Oil & Gas.

Mottley sostiene che una tassa sui servizi finanziari globali (fissata a un’aliquota dello 0,1%) potrebbe raccogliere 420 miliardi di dollari, «non 720 milioni di dollari dove siamo oggi” e che “se prendessimo il 5% dei profitti del petrolio e del gas dello scorso anno ci darebbero 200 miliardi di dollari a disposizione».

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