Ambiente

Cop28, accordo storico: il cammino per uscire dal fossile è illuminato

Nel testo finale del Global Stocktake manca il phase out dal fossile ma si parla di “transizione” da attuare entro il 2030. Esultano gli Emirati, approvano Usa e Europa, scontente le piccole isole
Credit: EPA/MARTIN DIVISEK 

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13 dicembre 2023 Aggiornato alle 10:30

Il primo mattone per costruire un mondo lontano dai combustibili fossili ha un nome complesso: “Transition away”.

In queste parole, concordate dopo un negoziato durissimo e infinito alla Conferenza delle parti sul clima di Dubai, è racchiuso il futuro: quello di un Pianeta che non mette nero su bianco - come chiedevano oltre 100 nazioni - il phase out, ovvero l’uscita graduale dai combustibili fossili, ma concorda però sulla necessità di farlo attraverso una “transizione dal fossile”, con orizzonti un po’ più delineati (i prossimi dieci anni) e definiti anche dal punto di vista delle emissioni (net zero nel 2050).

La Cop28 di Dubai è infatti finita questa mattina così: con un’intesa “storica” per molte parti, dato che proprio negli Emirati del petrolio si è riusciti in extremis a trovare una stretta di mano che porta verso la fine del fossile, ma che per molti altri è ancora “insufficiente” come dicono a esempio i rappresentanti delle isole che nel mondo, a causa della crisi del clima, stanno affondando. Sicuramente è un passaggio storico, ma è troppo presto per capire se si tratti di una vittoria o una sconfitta.

Quando il presidente petroliere Al Jaber, uomo chiave di questa Cop, ha battuto il martelletto davanti a una plenaria gremita e senza dare nemmeno voce e tempo alle repliche, all’interno dell’aula c’è stata quasi una standing ovation.

“Quasi” perché se alcuni delegati delle circa 200 nazioni presenti non hanno applaudito, altri come i rappresentanti delle isole non erano nemmeno presenti nell’aula. Proprio i volti del Sud del mondo e delle comunità indigene sono stati fra i più critici infatti all’approvazione del testo, perché se da una parte manca il phase out dall’altra si continuano a promuovere “false soluzioni”, come i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2.

Già, ma cosa dice in sostanza l’accordo ottenuto a Dubai dopo quasi due settimane di negoziazioni infinite?Come detto, pone le basi per la fine dell’era fossile già in questa decade, parlando di necessaria transizione e riconoscendo il bisogno - per evitare di acuire la crisi del clima - di ridurre il consumo globale dei fossili, come il petrolio (mentre di gas si parla meno…).

Questo passaggio, vista la fortissima opposizione dell’Arabia Saudita e della Russia (ma anche di Iran e altri…) non era affatto scontato: averlo centrato, per molti dei Paesi presenti alla Cop, è dunque una vittoria. Ci sono poi, nel testo, impegni importanti per le energie pulite: necessità di triplicare la capacità delle rinnovabili e duplicare gli sforzi per l’efficientamento energetico.

Ogni Paese dovrà contribuire, con fasce temporali differenti e sempre a seconda delle circostanze nazionali.

Si parla dunque chiaramente dell’importanza delle tecnologie nella sfida al riscaldamento globale: applausi per l’idea di spingere su rinnovabili, efficienza e batterie, mentre lasciano dubbi altre tecnologie indicate nell’accordo come il nucleare (che non vale per tutti gli stati) oppure i Ccs (cattura e stoccaggio), tanto care ai paesi produttori di petrolio che così possono produrre sotto la bandiera della sostenibilità visti i sistemi (molto criticati) per abbattere le emissioni.

In termini di finanza climatica il testo riconosce che “il fabbisogno finanziario per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo è stimato in 215-387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 e che è necessario investire circa 4,3 mila miliardi di dollari all’anno in energia pulita fino al 2030, aumentando poi a 5 mila miliardi di dollari all’anno fino al 2050, per poter raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050”.

Ci sono poi passi avanti nell’incoraggiare piani nazionali sul clima (Ncd) con “obiettivi di riduzione delle emissioni a livello economico”, così come un nuovo generale slancio su finanziamenti e le sovvenzioni sull’azione climatica.

Questi sono solo alcuni dei passaggi - centrali - dell’accordo raggiunto a Dubai che tracciano il cammino per i prossimi due anni (Cop29 in Azerbaigian e Cop30 in Brasile) nei quali bisognerà iniziare a diventare al più presto operativi.

Per Sultan Al Jaber è una vittoria: «Abbiamo lavorato molto duramente per garantire un futuro migliore alla nostra gente e al nostro pianeta. Dovremmo essere orgogliosi del nostro risultato storico».

Per il segretario Onu Antonio Guterres è un “nì”, dato che insiste sulla necessità di phase out. Per i Paesi dell’Alleanza delle piccole isole (Aosis) è un miglioramento rispetto al passato, ma “insufficiente”.

Gli Stati Uniti applaudono all’intesa e anche la Ue, lo giudica abbastanza positivamente, dato che secondo il commissario per il clima Wopke Hoekstra «l’umanità ha finalmente fatto ciò che aspettava da tempo. Abbiamo impiegato trent’anni per arrivare all’inizio della fine dei combustibili fossili».

Chi ha osservato e seguito con costanza ogni fase del negoziato, come il think tank italiano Ecco, dice che «il testo pone basi solide per la fine dell’era dei combustibili fossili, puntando su rinnovabili ed efficienza energetica. Ci vorrà molto più supporto finanziario, da parte di pubblico e privato, per supportare tutti i paesi nella transizione. Ma la via è tracciata», spiega il co-direttore di Ecco Luca Bergamaschi.

Alla fine, per molti, in questa Cop negli Emirati fatta di ingerenze dell’Opec e dei lobbisti delle fonti fossili, con la presenza persino di decine di negazionisti e connotata da un contesto geopolitico fatto di conflitti e incertezze energetiche, la sensazioni è che l’intesa firmata da 196 Paesi abbia acceso una luce: illumina il cammino, quello di una strada che si allontana dai combustibili fossili per inseguire le rinnovabili, ma bisognerà vedere se decideremo davvero di percorrerlo.

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