Diritti

Narges Mohammadi: i figli ritirano il Nobel per lei

Domenica a Oslo i gemelli Kiana e Ali, di 17 anni, hanno ritirato il riconoscimento al posto della madre. L’attivista iraniana sta scontando una pena detentiva di 10 anni a Teheran
Kiana Rahmani, figlia di Narges Mohammadi, parla durante l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2023 a Oslo, Norvegia, 10 dicembre 2023. 
Kiana Rahmani, figlia di Narges Mohammadi, parla durante l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2023 a Oslo, Norvegia, 10 dicembre 2023.  Credit: EPA/JAVAD PARSA NORWAY OUT
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
12 dicembre 2023 Aggiornato alle 09:00

“Sono una donna mediorientale e vengo da una regione che, nonostante la sua ricca civiltà, è ora intrappolata nella guerra, nel fuoco del terrorismo e nell’estremismo”.

Le parole di Narges Mohammadi hanno riecheggiato domenica 10 dicembre nella sala del Municipio di Oslo, dove si è tenuta la cerimonia di premiazione dei Nobel, tra cui quello per la Pace.

L’attivista iraniana è stata insignita del riconoscimento il 6 ottobre 2023, quando il Comitato norvegese per il Nobel ha deciso di assegnarglielo “per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti”.

A pronunciare il suo discorso di accettazione, però, non c’era lei. C’erano i suoi figli gemelli, Kiana e Ali Rahmani, di 17 anni, che non vedono la madre da 8. Tra le loro due sedie, vuota, c’era quella riservata a lei, l’unica assente della cerimonia.

Hanno letto un discorso fatto uscire di nascosto dal carcere di Evin, a Teheran, dove la donna sta scontando una pena detentiva di 10 anni per “diffusione di propaganda”.

“Scrivo questo messaggio da dietro le alte e fredde mura di una prigione”, ha spiegato nella lettera Mohammadi, che un mese fa ha iniziato uno sciopero della fame pur soffrendo di problemi cardiaci e polmonari.

«Come figli, siamo ovviamente estremamente preoccupati», ha detto Ali in una conferenza stampa dopo un incontro con il primo ministro norvegese Jonas Gahr Store. «Forse è in ospedale in questo momento», ha aggiunto Kiana.

Complessivamente, il regime iraniano l’ha arrestata 13 volte, incriminata 5 e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate per atti contro la sicurezza nazionale e propaganda contro lo Stato. Mohammadi ha 51 anni ed è stata dietro le sbarre quasi ininterrottamente dal 2010.

I figli, che hanno ritirato al posto suo l’assegno da 11 milioni di corone svedesi (circa 978.000 euro), vivono con il padre, l’attivista politico Taghi Rahmani, che è in esilio a Parigi dal 2015.

Nel discorso pronunciato in francese, attraverso la voce dei due diciassettenni, Mohammadi ha parlato dei giovani iraniani che avrebbero “trasformato le strade e gli spazi pubblici in un luogo di diffusa resistenza civile” in seguito alla morte di Mahsa Amini, la studentessa curda di 22 anni morta sotto la custodia della polizia morale iraniana dopo essere stata arrestata per non aver indossato correttamente il velo islamico.

Anche Amini, come Mohammadi, ha ricevuto un riconoscimento: il Premio Sacharov, assegnato ogni anno dal Parlamento europeo per onorare le persone e le organizzazioni che difendono i diritti umani e le libertà fondamentali.

Anche questo, come quello di Mohammadi, avrebbe dovuto essere ritirato da qualcun altro, ma i genitori e il fratello di Mahsa Amini sono stati fermati all’aeroporto dalla polizia iraniana mentre si stavano dirigendo verso Strasburgo.

Secondo l’avvocata della famiglia, Chirinne Ardakani, le autorità avrebbero confiscato loro il passaporto nonostante il visto valido.

Poche ore dopo, domenica 10 dicembre, la legale ha postato sui social una parte del discorso di Mohammadi, accompagnandolo con l’hashtag “Donna, vita, libertà”, simbolo del movimento globale innescato dalla morte di Amini: “La resistenza e la non violenza sono la nostra migliore strategia. Il popolo iraniano metterà fine alla repressione, potete starne certi”.

«Il fatto che la cerimonia sia iniziata con lo slogan “Donne, Vita, Libertà” dimostra che questo premio è destinato a tutti coloro che lottano per le libertà civili e la democrazia in Iran, e Narges è uno di questi individui», ha spiegato il marito all’emittente tedesca Deutsche Welle.

Insieme al Nobel per la Pace a Mohammadi, infatti, il Comitato norvegese ha “riconosciuto anche le centinaia di migliaia di persone che, l’anno precedente, hanno manifestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico iraniano nei confronti delle donne. Il motto adottato dai manifestanti – ‘Donna - Vita - Libertà’ – esprime adeguatamente la dedizione e il lavoro di Narges Mohammadi”.

Non è la prima volta che il Nobel per la Pace viene assegnato a una donna (o a donne) dell’Iran: è stata l’avvocata e attivista Shirin Ebadi a riceverlo, per prima, nel 2003, “per il suo impegno a favore della democrazia e dei diritti umani” e per essersi “concentrata soprattutto sulla lotta per i diritti delle donne e dei bambini”.

Secondo Mansoureh Shojaei, attivista iraniana per i diritti delle donne intervistata da DW, il fatto che sia stato assegnato un altro Nobel a distanza di 20 anni dimostra che «l’Iran è davvero una terra di donne straordinarie». E, «che si tratti di premi Nobel, donne in prigione, donne in coma negli ospedali, o donne i cui cari riposano nei cimiteri, e anche quelle donne a cui è stato vietato l’istruzione e fustigate per le strade, tutto ciò dimostra che il Premio Nobel assegnato 20 anni fa ha gettato le basi per vari movimenti sociali e femminili».

Il 16 settembre, in occasione dell’anniversario della morte di Amini, Mohammadi e altre 3 detenute hanno organizzato una protesta simbolica nel cortile della prigione bruciando i loro veli. Lo ha reso noto il suo account Instagram, che viene gestito dalla famiglia. Perché, come ha scritto Mohammadi dalle mura di Evin, “la resistenza è viva e la lotta non si indebolisce”.

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