Ambiente

Italia, sempre più fragile davanti alle alluvioni

Il rapporto Città Clima di Legambiente racconta, dalla Lombardia alla Sicilia, i rischi idrogeologici in aumento nella Penisola e come in soli 14 anni si siano verificati quasi 700 tragici allagamenti
Credit: ANSA / PAOLO SALMOIRAGO 

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28 novembre 2023 Aggiornato alle 17:00

Soltanto negli ultimi cinque anni l’acqua arrivata dal cielo ha contribuito alla morte di almeno 80 italiani.

Cinquanta vittime solo nell’ultimo anno. E i grandi disastri che abbiamo ancora in mente, tutti recenti, si sono susseguiti uno dopo l’altro: l’alluvione delle Marche e Umbria del settembre 2022, la frana di Ischia del successivo novembre, l’Emilia-Romagna sott’acqua lo scorso maggio e poi la Toscana devastata dalle piogge nemmeno un mese fa.

Fatti che ci ricordano due aspetti: il primo è che la crisi climatica, nel Mediterraneo che corre a velocità doppia come innalzamento delle temperature rispetto alla media globale, sta portando a fenomeni sempre più intensi e frequenti che impattano sulle nostre vite; e la seconda purtroppo è che l’Italia è estremamente fragile e impreparata.

Questa fragilità, tra dissesto idrogeologico, conformazione dei terreni, consumo di suolo e abusivismo, è nota da tempo: eppure ora, quando il conto del nuovo clima si fa sempre più salato, non solo lo Stivale si mostra ancora estremamente vulnerabile, ma non sta nemmeno realmente investendo per prepararsi al futuro.

La fotografia di una Italia “dai piedi d’argilla”, sempre più a rischio per alluvioni intense, è quella che ci restituisce il rapporto Città Clima di Legambiente che negli ultimi 14 anni con il suo Osservatorio ha contato 684 allagamenti e 86 frane da piogge intense, ma anche 166 esondazioni fluviali.

L’Italia, ci racconta il report, è infatti un Paese sempre più soggetto e colpito da fenomeni intensi tali da sconvolgere soprattutto determinati territori: Sicilia, Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna sono per esempio le regioni più impattate, mentre a livello di città si contano Roma, Agrigento, Palermo, Genova e Napoli.

Il problema è che più aumenta il surriscaldamento, più i mari sono caldi e carichi di energia, più questi eventi meteo diventano drammatici.

Solo negli ultimi 14 anni la Sicilia conta 86 casi di alluvioni importanti, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi) e Toscana (48).

La Lombardia è invece la regione, come ricordano anche le frequenti esondazioni del Seveso, più a rischio a livello di danni legati ai fiumi.

Per le esondazioni fluviali è infatti al primo posto con 30 casi, seguita dall’Emilia-Romagna con 25 e dalla Sicilia con 18 eventi.

Parlando del Seveso Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, ha ricordato inoltre che «finché il Seveso rimarrà sotterraneo Milano non potrà dirsi sicura, le vasche di laminazione sono un rimedio tardivo, il quadro appare troppo compromesso».

Tante, in Lombardia, anche il numero di frane da piogge intense tali da provocare danni: nella regione di Milano se ne contano almeno 12, poi Liguria 11 e Calabria e Sicilia entrambe con 9 eventi.

“Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città: in primis Roma, dove si sono verificati 49 allagamenti da piogge intense, Bari con 21, Agrigento, con 15, Palermo con 12, Ancona, Genova e Napoli con 10 casi. Per le esondazioni fluviali spicca Milano, con almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni, di cui l’ultima a fine ottobre; seguono Sciacca (AG) con 4, Genova e Senigallia (AN) con 3”, ricordano da Legambiente indicando cifre che fanno parte di un contesto a elevato rischio idrogeologico, con 1,3 milioni di persone in Italia che vivono in aree definite a forte rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione.

L’analisi, seguendo gli investimenti fatti finora, si è poi soffermata nel tentativo di capire se anche dal punto di vista economico è stato fatto o si farà abbastanza.

“Il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). Eppure, nonostante tutto ciò, il Governo Meloni nel rimodulare il Pnrr ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno”, fanno sapere dall’associazione ambientalista che denuncia una generale “assenza di governance” e la necessità al contrario di “una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio”.

Come? Secondo Legambiente servono quattro priorità: approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici; approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni; superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi e infine costituire una regia unica per costruire protocolli di raccolta dati e modelli previsionali che permettano di conoscere la tendenza delle precipitazioni e i loro impatti sul territorio.

«Le drammatiche emergenze registrate negli ultimi anni nelle Marche, a Ischia, in Romagna e da ultima l’alluvione in Toscana – chiosa Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – ci devono far riflettere sul modello di gestione del territorio. Non è solo un problema di risorse economiche, come spesso si vuole far credere, o di mancanze nella manutenzione ordinaria, pratica corretta e condivisibile ovviamente, se inserita in un contesto più ampio. Il problema principale sta nel voler rispondere alla logica della “messa in sicurezza”, che ha visto nel corso dei decenni provare a difendere l’indifendibile, alzando solamente argini e ragionando in maniera idraulica, con calcoli e tempi di ritorno delle piene che la crisi climatica sta spazzando via più velocemente di quanto si pensasse. Un’emergenza, quella climatica, che in alcune aree del Paese, soprattutto nel Meridione, aggrava una situazione di preesistente rischio causato da un abusivismo edilizio in aree già pericolose, raramente oggetto di demolizioni e rimasto colpevolmente impunito».

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