Culture

Il popolo delle donne

Nel documentario di Yuri Ancarani un monologo scomodo e dirompente della psicoanalista Marina Valcarenghi pone l’accento sulla comprensione della mascolinità tossica come reazione all’affermazione di genere
Tempo di lettura 8 min lettura
25 novembre 2023 Aggiornato alle 20:00

«Oggi c’è uno strano tsunami che consiste in comportamenti violenti da parte degli uomini verso le donne, più che nel passato»: inizia così la lectio magistralis di Marina Valcarenghi nel documentario di Yuri Ancarani Il Popolo delle donne, prodotto da Dugong in collaborazione con Pac (Padiglione d’Arte Contemporanea) e Acacia (Associazione Amici Arte Contemporanea Italiana), distribuito da Barz and Hippo, cioè Paola Corti e Monica Naldi del Cinema Beltrade di Milano.

Un monologo urgente, schietto e profondamente rivoluzionario in cui la giornalista, psicanalista e attivista, alla luce degli anni di lavoro passati nei penitenziari di Opera e di Bollate (dove per prima ha introdotto la psicoanalisi in carcere, lavorando nei reparti di isolamento maschile con detenuti in gran parte condannati per reati di violenza sessuale), scandaglia la sua esperienza in fatto di disparità di genere e violenza sulle donne.

Partendo da una lucida analisi dei femminicidi attuali e ricorrenti, Valcarenghi ripercorre la genesi della violenza che, se in passato era legata a motivi relativi a stati di abbandono, gelosie e alla paura degli uomini di rimanere soli, oggi è diventata qualcos’altro.

«La violenza è un vocabolo abusato – spiega – non è il male. È un istinto che appartiene a tutta la specie, quindi dobbiamo trovargli un senso. Dobbiamo riconoscerlo e controllarlo. Nessuno nasce mite. Mite si diventa. I bambini, in genere, sono violenti. Con il tempo, con la disciplina, imparano a usare la violenza compatibilmente con la convivenza civile». Il discorso di Valcarenghi, in un anno, in una settimana di giudizi contro la categoria “uomini”, sembra riportarci improvvisamente allo stato di “comprensione acritica” in cui non bisogna demonizzare la violenza, ma imparare a controllare l’istinto che le dà vita. Se il controllo dell’istinto è opportuno e necessario, infatti, la repressione dello stesso può provocarne l’esplosione.

Tornando all’affermazione iniziale, Varenghi spiega il perché della violenza maschile contro le donne di oggi partendo dai fatti storici dell’ultimo secolo. «Dopo il fascismo – dice - c’è stato un processo di liberazione delle donne, la possibilità di votare, di essere elette, l’approvazione della legge sul divorzio, la fine della patria potestà, l’apertura a tutte le professioni. Tutto questo è accaduto in un trentennio, dal ‘46 al ’76, rovesciando completamente il rapporto uomo-donna. Un rapporto cambiato troppo in fretta rispetto ai 3000 anni in cui le leggi fondamentali sono sempre state le stesse». Davvero si può pensare che una tale rivoluzione, avvenuta in tempi tanto stretti, avrebbe potuto essere accolta con naturalezza e con il favore di un mondo patriarcale e machista, da sempre abituato a tutt’altro? La verità è che l’emancipazione femminile ha creato un disorientamento profondo e pericoloso nel mondo maschile. Un disorientamento prevedibilissimo. Da che mondo è mondo, infatti, gli uomini si sono descritti, raccontati e comportati come superiori alle donne nel pensiero, nelle abilità fisiche e psichiche. E negli ultimi 30 anni le donne hanno cominciato a “giocare fuori casa” in un mondo costruito da uomini.

L’abitudine ha, infatti, una struttura rocciosa che necessita di tempo per essere superata. Gli uomini, forse, con il tempo, avrebbero potuto capire tante cose, ma la reazione immediata e automatica a un cambiamento avvenuto troppo in fretta è stata la nascita delle tensioni dove alla paura degli uomini nei confronti delle donne si è aggiunta la paura dell’invasione femminile nei luoghi del maschile, specie quando si è compreso che le donne sono capaci di gestire questi luoghi. Questa è l’origine della violenza. Una violenza che nasce per reazione emotiva e isterica.

Per esemplificare questo discorso, Varenghi riporta alcune dichiarazioni dei propri pazienti, ascoltate in carcere o in studio:

“Non posso sopportare di obbedire a una donna sul lavoro. Non ho mai avuto un capo donna. Ora ci manca che dicano che siano più brave di noi!”.

“Se non stanno in casa chi si occupa della famiglia? Occupano i posti che dovrebbero occupare gli uomini”.

“Adesso pure nel sesso hanno delle pretese!”

“Per farla tacere è successo quello che è successo!”

“Da che mondo è mondo gli uomini menano le donne di casa. Se non le tiro una sberla lei mi comanda!”

Se il prologo del documentario esplora il punto di vista degli uomini, nella seconda parte il focus della protagonista si sposta dalla parte opposta:

«Bisogna avere molta pazienza di fronte alle rivoluzioni epocali perché nessuna categoria come il popolo delle donne è stata oppressa così. La liberazione femminile è molto complessa perché rispetto alla rivoluzione nero-bianco, nella dicotomia donna-uomo, gli uomini erano i nostri padroni ma anche coloro che amavamo. La loro reazione è stata quella di maltrattare fisicamente e psicologicamente mogli, madri, figlie. Che si tratti di molestia sessuale, di femminicidio o stupro, la violenza dell’uomo sulla donna si esprime nel modo più immediato per manifestare la superiorità maschile: sono io il padrone e faccio quello che voglio”. Tutti gli odi vengono dalla paura: la misoginia è una confessione e un’oppressione. “Io ho paura quindi ti violento, ti picchio, non ti parlo, ti ammazzo”. La misoginia è paura. Gli uomini che manifestano superiorità e irritazione verso le donne che fanno strada hanno paura di loro», continua Varenghi.

Di fronte alla crisi del patriarcato, quindi, il documentario evidenzia come si possa avere una reazione comprensiva in cui la mente degli uomini segue un codice morale che incoraggia l’uguaglianza, in cui la paura diventa coraggio, riflessione e intelligenza nel permettere che le cose cambino nell’interesse di tutti. Allo stesso tempo, però, si può avere anche una reazione isterica. In questo caso, la paura diventa blocco e rifiuto perché l’abitudine vede minacciata la leadership dell’uomo e la reazione di quest’uomo, che sia di tipo depressivo o maniacale, ha una sola conseguenza: la violenza contro le donne.

«Il soggetto debole si sente azzerato dalla personalità che ha successo. È impossibile pensare a un omicidio senza un movente: il movente nella violenza di genere è l’inconscio collettivo maschile che, dopo millenni statici di superiorità vede, in 30 anni, l’emancipazione femminile. È la voragine aperta all’interno del patriarcato dalla rivoluzione femminile che dà vita a tutti questi femminicidi, dove il pensiero comune di un’identità maschile profondamente in crisi è: “Io ho perso e quindi ti uccido, ti violento, come segno della mia protesta alla collettività, al sistema”».

Tornando al Popolo delle donne Varenghi sottolinea come queste non siano oggetti nonostante siano trattate come oggetto di stupro. Anche loro devono avere la possibilità di reagire, di difendersi. Esse devono riprogrammare le figure maschili sulle quali fanno affidamento e dalle quali, sinora, sono state protette. Se è assodato che gli uomini devono rinunciare al loro ruolo dominante, allo stesso modo, le donne devono dismettere quello di vittime, fragili e deboli e indossare nuovi panni. Perché la parità è anche questo.

«Le donne hanno una forma di paura iscritta nell’inconscio femminile da sempre perché da sempre guerre, occupazioni le vedono vittime degli uomini e le fanno diventare sempre più insicure. Alle ragazze, ancora oggi, si insegna a cercare di evitare gli incontri con i malintenzionati. Bisogna, invece, insegnare come difendersi – sostiene Varenghi. Non si può più dire “Non comportarti come un maschiaccio, non difenderti, non picchiare”. La legge non serve a nulla, le donne devono interiorizzare la legge con una collettività che le protegga e permetta loro di difendersi. Bisogna denunciare, uscire allo scoperto, andare in tribunale con il rischio di sentirsi dire, dai soliti magistrati cavernicoli se, durante lo stupro, si sia raggiunto l’orgasmo. Questo è il dovere di chi non vuole più essere strumento nelle mani maschili».

Nel corso del 2023 sono stati commessi in Italia 105 femminicidi (dato pericolosamente in crescita in questi giorni). «Nessuna minoranza né maggioranza mai nella storia è stata oppressa come sono state oppresse le donne, in quasi tutto il mondo e in qualche parte ancora adesso. Mai. Quando dico che le donne sono un popolo, voglio dire questo», conclude Varenghi.

La strada per il cambiamento è prendere coscienza che il moltiplicarsi della violenza fisica non è una questione personale ma collettiva. Si tratta di una reazione dei singoli uomini a una richiesta di libertà collettiva.

Le fondamenta verso l’emancipazione, però, sono state messe e le donne si vanno sempre più affermando attraverso la forza del pensiero e il pensiero della loro forza. E se la strada è ancora lunga, la diffusione di documentari come questo rappresenta un buon inizio. Una divulgazione necessaria prima ancora che ai bambini, nelle scuole, agli adulti delle vecchie generazioni che di quei bambini sono genitori. E alla stampa che per quei bambini è strumento di informazione e formazione.

Leggi anche
Mansplaining
di Martina Micciché 5 min lettura
Gender equality
di Federica Pennelli 4 min lettura