Ambiente

Stati Uniti: la transizione energetica ha più di un nemico

Il Governo vara misure per la transizione ma le lobby automobilistiche e petrolifere protestano. E nel Congresso le opposizioni sono molteplici, dal magnate del carbone Manchin a Ocasio-Cortez, ai repubblicani
Credit: EPA/JIM LO SCALZO  

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23 novembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Nel percorso americano verso la transizione ecologica non mancano gli ostacoli.

Gli investimenti in campi eolici offshore e le azioni di società produttrici di energia rinnovabile sono sempre più in difficoltà: le case automobilistiche stanno frenando la produzione di veicoli elettrici, e l’industria petrolifera sta stringendo grossi accordi resi possibile dall’impennata dei prezzi di gas e petrolio.

Il piano dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (Epa) prevede il taglio delle emissioni del 56% per il 2026 e di aumentare gradualmente le quote di auto elettriche sul mercato al 37% entro il 2027, al 60% per il 2030 e al 67% entro il 2032. Un progetto tanto ambizioso quanto contestato.

L’Alliance for automotive innovation, che racchiude i maggiori costruttori automobilistici ha criticato la strategia del governo americano, evidenziando le scarse vendite di auto elettriche e le conseguenze dell’esclusione dal piano dei motori plug-in hybrid sulla produzione.

L’industria automobilistica lamenta anche l’esclusione delle Phev (veicoli elettrici plug-in hybrid) come avvenuto nel 2021, quando la stessa Casa Bianca aveva indicato l’obiettivo – condiviso dalla stessa Alliance – di vendite di auto nuove rappresentate per almeno il 50% da elettriche, ibride plug-in o fuel cell entro il 2030.

Negli Usa ha preso il via un massiccio piano di aiuti federali per la promozione di iniziative green che vadano a migliorare l’efficienza energetica e la sostenibilità.

L’iniziativa, coordinata dall’Epa, potrà contare su 4,6 miliardi di dollari dell’Inflation Reduction Act (Ira). Tra gli obiettivi rientra anche la riduzione della dipendenza di materie prime dalla Cina, primo fornitore mondiale di metalli e terre rare (metalli difficilmente identificabili e lavorabili).

Secondo l’analisi condotta da McKinsey, almeno 400 miliardi di dollari saranno destinati alla produzione di energia pulita e alla decarbonizzazione dell’industria entro il 2030, di cui 216 miliardi saranno incentivi fiscali alle imprese.

Uno dei progetti più ambiziosi riguarda l’eolico offshore, che investe sull’installazione di 30 gigawatt nel golfo del Maine e sulla costa dell’Oregon – un punto al quale il governo statunitense tiene particolarmente.

Tuttavia, le forti pressioni dei grandi gruppi petroliferi statunitensi rallentano la transizione.

Nello stesso Inflaction Reduction Act è inclusa una norma promossa dal senatore democratico del West Virginia Joe Manchin – noto soprattutto per i suoi legami con l’industria del carbone – che vieta al dipartimento degli Interni di rilasciare nuovi contratti di locazione per l’energia eolica offshore a meno che nell’anno precedente non sia stata effettuata la vendita di licenza petrolifera su almeno 60 milioni di acri.

Inoltre, l’amministrazione Biden ha recentemente pubblicato un piano per concedere fino a tre licenze offshore di petrolio e gas in cinque anni. Questa misura, sebbene rappresenti la più bassa concessione petrolifera dagli anni ’80, ha sollevato non poche polemiche.

«Potrebbero realizzare tutto lo sviluppo eolico pianificato con una sola vendita di petrolio e gas nel programma quinquennale», ha affermato Brettny Hardy, avvocato presso Earthjustice. «L’agenzia può ancora effettuare tali vendite senza ulteriori leasing di petrolio e gas. Secondo i loro regolamenti, tutto ciò che devono fare è organizzare una vendita di petrolio e gas per emettere i contratti di locazione eolica che sono stati venduti».

Tutte e tre le licenze sono per progetti offshore nel Golfo del Messico, nel 2025, 2027 e 2029, nessuna riguarda invece l’Alaska.

«Non ci sarà una soluzione semplice o rapida per la transizione energetica», ha affermato invece James Yardley, dirigente dell’operatore di gasdotti TC Energy.

L’amministrazione Biden-Harris sta affrontando non pochi problemi sull’agenda climatica anche nel Congresso.

È stato recentemente presentato alla Casa Bianca il programma di formazione sul clima American climate corps, che in un solo anno punta a inserire oltre 20.000 giovani in percorsi lavorativi nei settori legati alla transizione energetica.

Tale iniziativa richiama quella che istituì Civilian corporisation corps (Ccc), avviata esattamente 90 anni fa da un altro presidente democratico, Franklin Delano Roosevelt, nella prospettiva di superare la Grande Depressione.

L’istituzione degli American climate corps è stata osteggiata in Parlamento: se per i repubblicani il programma è troppo costoso e ambizioso, una parte dei democratici – tra cui Alexandra Ocasio-Cortez – aveva chiesto senza successo un aumento dei finanziamenti, lamentando la scarsità delle risorse messe a disposizione.

E intanto, anche la finanza inizia a muoversi verso la transizione energetica, seppur con ambiguità.

Brookfield Asset Management, il colosso degli investimenti, ha implementato l’anno scorso il Brookfield Global Transition Fund, un fondo da 15 miliardi di dollari attraverso i quali la Compagnia ha assicurato che investirà su progetti di riduzione di gas serra e consumo energetico.

Tuttavia, la compagnia continua a investire in asset tradizionali legati al Gnl, inclusi nei propri fondi infrastrutturali, che quest’anno hanno già superato i 25 miliardi di dollari.

Gli Stati Uniti d’America sono, insieme alla Cina, i maggiori Paesi per emissioni di gas serra al mondo.

Le politiche introdotte da Biden sono ambiziose; tuttavia, le opposizioni dei gruppi di interesse rischiano di compromettere una transizione energetica ed ecologica ormai inevitabile, e necessaria.

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