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Juan Carlos De Martin: lo smartphone ha «annebbiato la capacità critica nei suoi confronti»

Secondo il professore di Ingegneria Informatica del Politecnico di Torino, intervistato da La Svolta, questa macchina «è diventata centrale, di uso quotidiano» ma ci mancano gli «anticorpi» per chiederci: siamo noi che la controlliamo o è lei a controllare noi?
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30 novembre 2023 Aggiornato alle 12:00

Nella sua biografia online, Juan Carlos De Martin ci tiene a sottolineare che gli piace camminare “Senza fretta, con flessibilità e curiosità, ma tenacemente, fino alla meta” e, a leggere il suo Cv, sembra che anche la sua carriera professionale sia avanzata così, mossa dalla sua passione per la tecnologia.

Professore ordinario di Ingegneria Informatica al Politecnico di Torino, dove dal 2006 è cofondatore e condirettore del Centro Nexa per Internet&Società, la sua prossima meta sarà il mandato 2024-2030 da Rettore del Politecnico di Torino al quale si è candidato. Inoltre è co-curatore della Biennale Tecnologia e ha da poco dato alle stampe il libro Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica, edito con Add (18 euro, 200 pagine) che verrà presentato oggi, 30 novembre, a Firenze (ore 15:00) durante il Wired Next Fest e il 9 dicembre a Roma alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria Più libri, più liberi (ore 18:00).

La Svolta ha parlato di Contro lo smartphone e tecnologia con l’autore.

Partiamo dal suo ultimo libro Contro lo smartphone, un saggio sulla presenza di questo dispositivo nelle nostre vite. Possiamo dire che, a oggi, lo smartphone è la novità tecnologica più importante del XXI secolo?

Sì, ne sono convinto perché si è diffuso così rapidamente, in maniera così capillare in buona parte del mondo, è diventato così indispensabile che, secondo me, è la macchina centrale di questa parte del secolo.

Nel titolo si dichiara contro lo smartphone, è così?

Il titolo è volutamente provocatorio: contro lo smartphone non in quanto tale, ma contro questo smartphone nato negli ultimi 15 anni per scelte specifiche di una manciata di attori. Questo il punto di partenza. L’obiettivo del libro è di risvegliarci da una sorta di torpore. Questa macchina si è diffusa molto rapidamente (soprattutto negli ultimi 10 anni, che in prospettiva storica sono niente), più di 4 miliardi di persone la utilizzano; è diventata così centrale, e di uso così frequente e quotidiano, da averci un po’ annebbiato la capacità critica nei suoi confronti, al punto da non aver attivato degli anticorpi che ci permettessero di chiederci cosa stiamo facendo, soprattutto nell’accentrare così tanti processi e funzioni all’interno di questa specifica macchina.

Nella sua analisi delle implicazioni legate all’uso dello smartphone usa un linguaggio chiaro e divulgativo. Per chi ha scritto questo libro?

Con questo libro vorrei raggiungere un pubblico più ampio possibile, al quale dire di prendere consapevolezza che quella macchina che teniamo costantemente in mano ha certe caratteristiche e certe conseguenze. Poi, ovviamente, la speranza è anche di raggiungere coloro che hanno potere decisionale in politica, soprattutto affinché si rendano conto che la tecnologia - tutta, non solo lo smartphone - è politica. La politica non dovrebbe lasciare la tecnologia alle sole forze economiche, ma occuparsene perché è troppo importante nella vita di tutti noi.

Negli ultimi anni sembra che la politica arrivi sempre dopo la tecnologia. È così? Lei riscontra questa tendenza? Dove è il problema? È una questione culturale o c’è una velocità della tecnologia che non riusciamo a gestire politicamente?

Credo che sia soprattutto una questione culturale. Ritenendo che la tecnologia sia sinonimo automatico di progresso e che sia positiva di per sé, viene lasciata agli attori economici; per questo motivo negli ultimi decenni la tecnologia è uscita dalle categorie della politica, una vera e propria regressione culturale. In passato, infatti, la politica aveva ben chiaro che la tecnologia è una componente fondamentale della società e che, essendo prodotta da umani, è assolutamente tra le cose di cui la politica si può, anzi, si deve occupare. Non c’è niente di naturale nella tecnologia: la tecnologia va nelle direzioni in cui viene spinta. Sono anni che, a titolo personale e con le attività del Centro Nexa per Internet e società, cerco di far capire che la tecnologia è politica, nel senso nobile del termine: di democrazia, di polis.

Nel suo libro affronta il tema fondamentale dell’opaco rapporto tra lo smartphone e i dati che ci riguardano. Come rendere visibile questo rapporto?

È uno dei temi centrali del libro, dove cerco di far capire nella maniera più accessibile possibile che quest’oggetto genera - e trasmette altrove - dati su di noi, sulle nostre abitudini, sull’ambiente in cui siamo. Lo smartphone è una macchina di sorveglianza costante che spia ed è questo il suo grandissimo valore economico: Apple e Google e poche altre aziende (i produttori delle principali app, soprattutto di social media) hanno una specie di cruscotto riguardante 4 miliardi di persone, ovvero, sanno in tempo reale molto di quello che stiamo facendo. Senza cadere in complottismi, dobbiamo riconoscere che non è mai successo prima nella storia che così pochi attori, che lavorano spesso anche con gli Stati nazionali, abbiano una tale capillare visione dell’umanità. Che rischi corre la democrazia con un livello di sorveglianza così alto? Se qualcuno per anni, costantemente, raccoglie dati di tutti i tipi su di noi come potrà usarli in futuro? Sono dossier digitali su ciascuno di noi, di un’ampiezza e precisione senza precedenti, che verranno usati a beneficio di chi? Non nostro, temo, se non in maniera marginale.

Nel libro analizza anche il rapporto tra smartphone e ambiente.

L’impatto ambientale vale per qualsiasi merce elettrica ed elettronica, ma essendo stati prodotti più di 12 miliardi di smartphone in pochi anni dobbiamo chiederci specificatamente cosa implicano questi numeri. Nel libro parlo sia dell’impatto a monte che a valle. A monte perché questo smartphone è una macchina molto sofisticata e complessa e fa uso di un numero elevatissimo di elementi della tavola periodica, si stima circa una settantina, che arrivano da miniere. Il primo impatto, quindi, viene dall’attività di estrazione mineraria che da sempre causa conseguenze enormi nell’ambiente e nella società. Poi quando finalmente ci stacchiamo emotivamente dai vecchi smartphone che teniamo nel cassetto c’è l’impatto a valle: si tratta di oggetti elettronici che andrebbero smaltiti in maniera specifica, non buttati nell’immondizia ma riciclati. Si deve evitare che finiscano nelle discariche, spesso in Africa o in Asia, dove producono un impatto devastante sul territorio e sulle persone che ci vivono.

C’è una via d’uscita da questa situazione?

Solo se siamo contro questo smartphone. Perché un altro smartphone è perfettamente possibile, basterebbe avere la volontà politica di farlo. Alla fine del libro c’è un manifesto con una serie di punti che, volendo, potrebbero essere decisi oggi e implementati domani. Numerosi punti del manifesto sono fattibili facilmente, per realizzare uno smartphone ideale, dove per ideale si intende il miglior smartphone tecnicamente possibile dal punto di vista del benessere e dei diritti dell’utente, dei lavoratori e dell’ambiente.

Dal 18 al 21 aprile 2024 al Politecnico di Torino si svolgerà la prossima edizione della Biennale Tecnologia di cui è curatore insieme a Luca De Biase. Quale sarà il tema?

La Biennale Tecnologia è la manifestazione culturale dedicata al rapporto tra tecnologia, società e umanità più grande e importante d’Europa. Utopie realiste è il titolo della prossima edizione, una sorta di ossimoro che abbiamo scelto perché c’è un bisogno assoluto di pensare a futuri diversi, di non rassegnarci alle cose come sono. E il primo passo è immaginare ciò che potrebbe essere, e quindi con Luca De Biase abbiamo scelto la parola utopia proprio per sottolineare che l’immaginazione è importante. Poi, però, nello stesso tempo a noi interessa immaginare alternative che siano praticabili e quindi realiste e non soltanto fantasticare di mondi possibili svincolati da effettiva realizzabilità: pensare a quali tecnologie potrebbero esserci e come utilizzarle, in che direzione potrebbero andare, cosa potremmo mettere in campo, che risorse ci vorrebbero, che cambiamenti andrebbero fatti e così via… Immaginazione e concretezza: questo il focus del messaggio che vorremmo che i relatori introducessero alla Biennale e proponessero ai partecipanti.

Si è candidato Rettore del Politecnico di Torino per il mandato 2024-2030, dopo essere stato vice rettore per la Cultura e la Comunicazione dal 2018 al 2023. Per la sua campagna elettorale fa suo il motto del pedagogista e filosofo svizzero Johann Heinrich Pestalozzi Mente, Cuore, Mani”, ripreso di recente anche da Papa Francesco. Perché?

Mi candido Rettore perché ho una certa idea di Politecnico, in larga parte basata sull’idea di università che avevo già presentato nel mio precedente libro Università futura – tra democrazia e bit (Codice Edizioni) uscito nel 2017. “Mente, Cuore, Mani” mi è sembrato un motto calzante perché mette insieme le tre componenti che dovrebbero essere al centro della mia idea di università e che vorrei proporre ai miei colleghi: la componente analitico-razionale, identificata dalla mente, alla quale aggiungo il benessere mentale degli studenti e del personale, soprattutto post-Covid, poiché c’è molto malessere e sofferenza da questo punto di vista; poi il cuore, cioè le emozioni che sono le componenti fondamentali degli essere umani e del loro agire, sia nel modo in cui ci rapportiamo tra i docenti e con gli studenti; e poi mani, quindi le applicazioni e la tecnologia per ricordare che le mani da sole, senza cuore e mente, sono cieche perché non sanno cosa fanno o perché lo fanno.

Il suo programma è riassunto nel Manifesto Politecnico Futuro in cui promuove la connessione e la collaborazione tra università, istituzioni e cittadinanza, pone la didattica al centro, ma soprattutto dichiara di ambire ad aumentare il numero dei laureati di prima generazione. Rispetto a quest’ultimo punto, oggi esiste un problema di accesso all’università legato alle diseguaglianze sociali?

Propongo innanzitutto di avere ben chiaro quanti siano i laureati di prima generazione che il Politecnico laurea per i vari corsi, e poi darci l’obiettivo di incrementare quella quota, per contrastare la tendenza a tornare a essere classista dell’Università italiana di questi ultimi 20 anni.

È un peggioramento che ha varie cause, tra cui il peggioramento economico generale del Paese, ma anche un costo dello studio universitario elevato rispetto praticamente a tutto il resto d’Europa (per dire, abbiamo contemporaneamente le tasse più alte d’Europa dopo l’Olanda e il diritto allo studio tra i peggiori). Io, per esempio, sono il primo laureato della mia famiglia: se i miei genitori avessero dovuto pagare le tasse attuali forse noi 4 figli non ci saremmo laureati.

Ultima domanda. Quale sarà la meta del suo prossimo cammino?

Venezia. Sono partito da Torino, sono arrivato a Milano e poi a Cremona, ma poi mi sono dovuto fermare per motivi familiari (nascita della terza figlia, ndr). Spero di poter presto riprendere il cammino per arrivare finalmente alla Serenissima. E dopo Venezia, Istanbul.

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