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Quanta CO2 produce uno smartphone?

Dalla creazione allo smaltimento, passando per tutti i singoli istanti in cui noi utenti apriamo le applicazioni: capiamo qual è l’impronta ecologica del nostro cellulare e come fare per inquinare meno
Credit: Jonny Caspari
Tempo di lettura 6 min lettura
29 maggio 2023 Aggiornato alle 11:00

Lo smartphone è ormai diventato parte integrante delle nostre vite. Un oggetto di uso comune che, nella sua “vita tecnologica”, ha un inizio e una fine e che inquina, anche mentre lo utilizziamo.

L’impronta ecologica dello smartphone è stata calcolata dall’associazione Friends of the Earth, nel rapporto Mind your step. L’associazione, presente in 74 Paesi del mondo, ha stimato che la sola produzione di un singolo apparecchio richieda il consumo di 18 mq di suolo e circa 12,8 metri cubi d’acqua.

Nello stesso studio sono presenti anche una serie di soluzioni per provare a ridurre l’impatto ambientale dello smartphone. Ogni dispositivo, una volta finita la sua utilizzabilità, diventa un rifiuto, o meglio: tanti piccoli tipi di rifiuto. Il primo consiglio è riuscire a far sì che lo smartphone abbia una vita più lunga.

Quanto inquina un cellulare?

Secondo i dati dell’European Environmental Bureau - Eeb (Ufficio Europeo dell’Ambiente) risalenti al 2019, basterebbe allungare di 1 anno l’utilizzo medio degli smartphone nel mondo e per avere un risparmio di 2 milioni di emissioni equivalenti. In totale, smartphone e computer rilasciano nell’atmosfera soltanto in Europa circa 14 tonnellate di emissioni ogni anno.

«Questo studio è un’ulteriore prova che l’Europa non può soddisfare i suoi obblighi climatici senza affrontare i nostri modelli di produzione e consumo. L’impatto sul clima della nostra cultura degli smartphone usa e getta è troppo alto – ha affermato Jean-Pierre Schweitzer, Policy Officer per l’economia circolare dell’Eeb - Non possiamo permetterci di continuare a sostituirli ogni pochi anni. Abbiamo bisogno di prodotti che durino più a lungo e che possano essere riparati in caso di rottura. Con l’aumento del sostegno pubblico a prodotti di maggiore durata e all’azione per il clima, abbiamo l’opportunità di ripensare radicalmente al modo in cui i nostri prodotti sono progettati e realizzati. L’Unione europea può essere un leader su questo fronte, avendo già sperimentato alcune leggi rivoluzionarie che obbligano i produttori a rendere alcuni prodotti più facilmente riparabili».

Quanta CO2 produce uno smartphone?

Esiste un altro rapporto, presentato da Deloitte, che ha fornito un’analisi specifica di quanto accade in Italia e che evidenzia come nel nostro Paese e nel resto del mondo ci sia un consumo troppo alto. In base a questi dati, relativi a metà del 2022, si stimava che entro la fine dello scorso anno 4,5 miliardi di smartphone avrebbero prodotto circa 146 milioni di tonnellate di CO2 e CO2e (l’unità di misura riguardante i gas serra). Il report, inoltre, evidenziava anche che l’emissione totale di CO2 sulla Terra, che è di 34 giga tonnellate: ciò fa capire come ci siano altri ambiti nei quali è necessario lavorare al di fuori di quello degli smartphone.

Sul totale delle emissioni relative all’utilizzo dei cellulari, l’83% è dovuto dall’estrazione delle materie prime e al trasporto, il che evidenzia l’importanza di spingere (presso i produttori) sulla necessità di utilizzare materiali di riciclo. L’11% è invece conseguenza delle emissioni durante il primo anno di utilizzo dall’acquisto e il 5% delle attività di recupero e ripristino una volta che lo smartphone è a fine vita.

Mediamente il dispositivo viene utilizzato dai singoli clienti per un tempo che va dai 2 a 5 anni. In Italia la media di acquisto degli smartphone è calata dal 2016 al 2021: 2 italiani su 3, sempre secondo Deloitte, avevano cambiato lo smartphone dopo un anno e mezzo. Fino al 2021, quello stesso dato era sceso percentualmente a meno della metà. Parliamo, in ogni caso, di un oggetto posseduto dal 94% degli italiani tra i 18 e i 75 anni.

Scarso nel Belpaese l’utilizzo di smartphone usati o ricondizionati: soltanto il 7%. All’interno di questa fetta, il 9% lo ha fatto per ragioni di sostenibilità ambientale, riconducendo la scelta a motivi economici. Non solo: una percentuale misera, il 3%, smaltisce correttamente lo smartphone ma, in compenso, il 47% dichiara di non gettarlo una volta passato a un telefonino nuovo, preferendo tenerlo di scorta per eventuali necessità.

Le possibili soluzioni per avere un minore impatto ambientale ci sono, sia lato consumatore che lato produttore. Per esempio, la risposta di uno dei grandi brand mondiali (Apple) è stata non inserire nel packaging degli iPhone caricabatterie e auricolari. Questo riduce i volumi d’ingombro del 70% e fa risparmiare 2 milioni di tonnellate ogni anno.

Anche questo aspetto è stato evidenziato da Friends of the Earth e ha radice nelle nostre abitudini: se caricabatterie e auricolari vengono utilizzati nel modo corretto dal precedente acquisto possono essere tranquillamente riutilizzati per il futuro smartphone. Ovviamente servirebbe in aggiunta un lavoro sulla compatibilità tra i grandi marchi: gli attacchi con cui si ricaricano gli strumenti, non solo i telefonini ma anche i personal computer così come gli auricolari, sono differenti tra un brand e l’altro e, spesso, è una scelta che viene fatta proprio per trattenere una fetta di mercato evitando che passi alla concorrenza, puntando sull’abbassamento dei costi per il cliente.

Un’altra multinazionale che ha lanciato un’idea per tentare la via di una maggiore sostenibilità è Vodafone. Il gestore telefonico ha incentivato i propri clienti in tutta Europa a permutare e restituire i vecchi dispositivi, garantendo un pacchetto con assicurazione, riparazione e supporto tecnico.

L’impronta ecologica degli smartphone

L’industria dell’elettronica rilascia quindi milioni di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera. Gli smartphone rappresentano sicuramente uno dei mercati più fluenti e dalla crescita rapida. Una delle strade da percorrere per aiutare l’ambiente sarebbe sicuramente quello di utilizzare più telefoni ricondizionati.

Secondo il report di impatto ambientale di Swappie, ecommerce dedito alla compravendita di smartphone usati e ricondizionati, ogni iPhone nuovo “costa” 78 chilogrammi in termini di Co2: l’80% è di produzione, il 3% per il trasporto, il 16% per l’uso e l’1% per lo smaltimento. Uno smartphone ricondizionato invece, secondo questi dati, produce il 78% di carbonio in meno rispetto a un telefono nuovo. Il telefonino per la sua creazione fa riferimento all’estrazione mineraria che ha un impatto negativo a livello ambientale e sociale, per questo i cellulari ricondizionati potrebbero creare un modello di business circolare caratterizzato da un impatto positivo.

Un altro aspetto importante che va considerato e che si rifà alle nostre abitudini, a prescindere dall’impegno che possono metterci le case produttrici, è l’emissione di CO2 nell’atmosfera per ogni operazione che svolgiamo con le nostre app. Ogni volta che usiamo lo smartphone, infatti, c’è un’applicazione che deve mettersi in funzione, un server a cui si fa rimando, milioni e milioni di ventole che devono garantirne il corretto funzionamento per tutti gli utilizzatori. Soprattutto se parliamo di app di larghissimo utilizzo, il consumo di energia e le emissioni arrivano a livelli enormi.

Il fenomeno si chiama Carbon Thumprint, perché rimanda proprio alle emissioni derivanti dai movimenti delle nostre dita; è stata anche lanciata un’app che si chiama proprio Carbon Thumbprint, prodotta da Belong (provider australiano carbon neutral) che aiuta i consumatori a conoscere qual è l’impatto in termini di emissioni del quotidiano utilizzo dello smartphone.

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