Economia

Great resignation: 2,2 milioni di dimissioni nel 2022

Dal 2019 si è registrato un aumento del 35%, rileva l’analisi di Cisl Lombardia. Nella maggior parte dei casi, i lavoratori rientrano nelle fasce d’età 26-35 e 36-45 anni, spiega l’indagine Aidp
Credit: cottonbro studio
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22 novembre 2023 Aggiornato alle 08:00

Secondo la ricerca di Cisl Lombardia, in Italia ci sono state quasi 2 milioni di dimissioni volontarie nel 2021 e oltre 2,2 milioni nel 2022, con un aumento del 35% rispetto al 2019. Secondo il sindacato, nel 2022 si sono registrate 566.000 dimissioni in Lombardia: un campanello d’allarme.

“La ricerca ha messo in luce come stiano cambiando i fattori che rendono un lavoro attrattivo e soddisfacente in particolare tra giovani e meno giovani. Non sono più fattori oggettivi come la retribuzione a rendere un lavoro soddisfacente, ma ci sono fattori più soft di carattere più sociale e psicologico come evitare un eccessivo carico di stress o l’accesso a misure di conciliazione tra vita lavoro e vita personale” si legge nello studio. Circa il 60% degli intervistati ha affermato di essersi dimesso avendo già una prospettiva alternativa.

Secondo l’indagine Aidp (Associazione Direttori Personale), questa situazione riguarda particolarmente le fasce d’età 26-35 anni e 36-45 anni, soprattutto i lavoratori coinvolti in mansioni impiegatizie e residenti nel nord Italia. L’anno scorso, in Piemonte, l’Inps ha rilevato su 127.000 cessazioni di contratto a tempo indeterminato 89.123 dimissioni volontarie: il 70% del totale.

«Come sindacato - sottolinea Enzo Mesaglia, segretario regionale di Cisl Lombardia - abbiamo una grossa responsabilità: creare delle condizioni di lavoro migliori, il che significa non solo aumentare la produttività e l’efficienza aziendale, ma soprattutto restituire alle persone un luogo in cui poter ritrovare quel benessere complessivo tanto ricercato dai lavoratori e della lavoratrici che danno vita al fenomeno della great resignation».

Negli ultimi 2 anni si è sentito parlare di grandi dimissioni, un fenomeno che si è presentato in modo evidente negli Stati Uniti poco dopo lo scoppio della pandemia e che, secondo alcuni, è arrivata anche in Europa. Si tratterebbe di un’ondata di dimissioni volontarie, presumibilmente a causa di squilibri interni al mondo del lavoro tra la domanda e l’offerta.

Sono molti i lavoratori voglio trovare un equilibrio tra benessere psicofisico e lavoro: le persone cercano un’occupazione magari più gratificante o da svolgere da remoto, meglio retribuita o che assicuri più tempo libero. Secondo Eurostat, mediamente in Europa l’11% delle persone al di fuori del mondo del lavoro ha recentemente lasciato il proprio impiego nel terzo trimestre del 2022. Un dato in lieve aumento, pari a 0,5 punti percentuali, rispetto all’anno precedente. In Spagna la quota supera il 20%, in Italia si attesta poco al di sotto del 10%. Mentre in Bulgaria, Slovacchia e Romania non arriva al 5%.

Il fenomeno rischia di causare un’emergenza anche nel settore pubblico. In Trentino sono in continuo aumento le dimissioni volontarie di personale sanitario e operatori socio-sanitari. Analoga situazione riguarda il personale amministrativo. Gli stipendi bassi, l’aumento della mole di lavoro e l’impossibilità di una conciliazione vita privata-lavorativa sono tra le maggiori cause di dimissioni.

“Siamo preoccupati della totale assenza di una strategia istituzionale volta a implementare e trattenere il personale in servizio. C’è l’assenza di una vera politica incentivante che riconosca disagi e responsabilità” spiegano Giuseppe Varagone di UIL Fpl Sanità e Cesare Hoffer di Nursing Up in una nota.

Il fenomeno delle grandi dimissioni rappresenta un segnale dal mercato del lavoro: i lavoratori chiedono professioni di qualità, conciliazione con la vita privata, una buona remunerazione. Serve, dunque, una politica adeguata e nuova concezione del lavoro per arginare un fenomeno che rischia di travolgere l’Italia, in cui solo il 58% della popolazione è occupato.

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