Diritti

Uk: la polizia condivide i dati delle migranti abusate

Le survivors arrivate in Inghilterra e Galles devono scegliere se restare in silenzio e rischiare ulteriori violenze o denunciare, con la paura di essere deportate, spiega l’ultimo rapporto del Domestic Abuse Commissioner
Credit: Pavel Danilyuk
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
20 novembre 2023 Aggiornato alle 08:00

Ogni singola forza di polizia in Inghilterra e Galles ha condiviso i dati delle donne migranti che denunciano abusi domestici con l’Immigration Enforcement (il braccio operativo del Ministero degli Interni, che è “responsabile della riduzione delle dimensioni della popolazione illegale e dei danni che provoca”) da aprile 2020 a marzo 2023. Lo rivela un nuovo rapporto del Commissariato indipendente per gli abusi domestici.

La minaccia di una segnalazione al Ministero degli Interni è spesso utilizzata dagli autori di abusi domestici per controllare le loro vittime, ha spiegato la Commissaria per la violenza domestica Nicole Jacobs. Condividere i loro dati con le forze dell’ordine per l’immigrazione, quindi, lascia le survivor migranti senza un posto sicuro per denunciare gli abusi domestici. Invece di avere la certezza che lo Stato darà priorità alla sua sicurezza, chi subisce violenza domestica deve affrontare una scelta difficile: restare in silenzio e rischiare ulteriori abusi o denunciare, esponendosi al rischio di azioni da parte dei servizi di immigrazione.

Una paura ingiustificata (secondo il Commissariato non sono state intraprese azioni contro nessuna delle 537 vittime i cui dati sono stati condivisi tra il 2020 e il 2023) ma che è sufficiente per mantenere le donne che vorrebbero uscire dalla violenza in una situazione di pericolo per evitare il rischio di trovarsi di fronte alla loro paura più grande. Si è scoperto, poi, che in oltre il 90% dei casi gli aggressori di donne, con uno status di immigrazione insicuro e che, appunto, hanno subito abusi domestici, utilizzavano la minaccia dell’espulsione dal Regno Unito per dissuaderle dal denunciare.

Nel 2021 un rapporto del Commissario ha riconosciuto l’immigration abuse come una forma particolare di violenza, spiegando che nonostante non ci sia un parere univoco su questa definizione, “identificare e nominare questa particolare forma di comportamento coercitivo e di controllo è vitale garantire che i responsabili politici nazionali e locali e i professionisti in prima linea siano attrezzati per identificare e rispondere adeguatamente alle vittime e ai sopravvissuti”.

Oggi non c’è protezione per le vittime e, anzi, spiega il rapporto: “la polizia, i servizi sanitari e l’assistenza sociale, possono e sono attivamente incoraggiati a condividere le informazioni sulle vittime e testimoni di reato con l’Home Office, che potrebbe comportare l’applicazione di azioni di contrasto all’immigrazione”.

Per questo, il Commissariato chiede che venga apportato un emendamento alla legge sulle vittime e sui prigionieri, che istituirebbe un divieto per i servizi dello Stato (compresi la polizia, i servizi sanitari e l’assistenza sociale) di condividere i dati di una vittima o testimone di crimini specifici con il Ministero degli Interni senza il loro consenso. Un divieto del genere, spiega il rapporto, aumenterebbe la fiducia delle donne nella denuncia e fornirebbe ai servizi legali un modo per proteggere non solo chi ha subito abusi ma anche il pubblico più ampio, senza alcun impatto significativo sul lavoro delle forze dell’ordine sull’immigrazione.

“Con la consapevolezza che i loro dati personali non verrebbero condivisi con le forze di immigrazione, le vittime e le sopravvissute migranti si sentirebbero più sicure nel denunciare il crimine. Inoltre, sentendosi sicure di poter denunciare o rendere nota [la violenza] in qualsiasi momento, potrebbero ricevere una valutazione di rischio ed essere sostenute in una fase precoce, proteggendole così da futuri abusi e potenzialmente salvando loro la vita. Mettendosi in contatto con servizi specialistici, otterrebbero l’ulteriore vantaggio di ricevere supporto per conoscere e, se necessario, regolarizzare il proprio status di immigrate senza il rischio di dover affrontare un’azione di immigrazione da parte della stessa agenzia che afferma di tutelarli”.

Non solo: secondo Jacobs l’emendamento aumenterebbe anche le possibilità che i crimini vengano denunciati e sufficientemente indagati, il che aumenterebbe la probabilità che gli autori vengano catturati prima e consegnati alla giustizia, e quindi apporterebbe un beneficio significativo alla sicurezza pubblica.

«Questi dati mostrano che non esiste una sola forza di polizia in cui le vittime migranti siano trattate innanzitutto come vittime. Questo deve cambiare adesso. Solo con l’introduzione di un firewall il disegno di legge sulle vittime e sui prigionieri potrà garantire giustizia e protezione a tutte le vittime, non solo ad alcune».

Già a luglio, però, il Ministero degli Interni aveva respinto una precedente richiesta del Commissariato di creare un cosiddetto firewall tra l’applicazione dell’immigrazione e i servizi pubblici, affermando che le restrizioni sulla condivisione dei dati tra i servizi pubblici e le autorità per l’immigrazione avrebbero potuto portare a ritardi nell’accesso delle vittime migranti a informazioni vitali sul loro status di immigrazione, il che avrebbe potuto prolungare la loro incertezza e aumentare la loro vulnerabilità.

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