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L’odio è come i pidocchi: contagioso

Quando scoppia una guerra, sembra che tanti schizzi d’odio volino lontanissimo e macchino anche Paesi remoti. Ma l’odio non vola, cresce nella terra
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4 novembre 2023 Aggiornato alle 09:00

L’odio è come i pidocchi. Prude la capa così forte che sembra infilarsi nei pensieri. È brutto, ignorante e non fa complimenti: salta di testa in testa senza distinzioni. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, fortunati e disgraziati: come i pidocchi, l’odio è contagiosissimo.

Il 7 ottobre è esplosa la tensione tra Israele e Palestina, una tensione antica e complessa che si è trasformata in una bruttissima guerra nella Striscia di Gaza. Questa guerra ha già ucciso migliaia di persone, tanti israeliani ma soprattutto tantissimi palestinesi, tra cui un numero altissimo di bambini e bambine.

Da quando questa guerra brutta, antica e complicata si è riaccesa nella Striscia di Gaza, che è lo spazietto di terra incastrato tra il Mar Mediterraneo, Israele e l’Egitto dove sono stati stipati i palestinesi, è come se degli schizzi del conflitto fossero volati lontano, lontanissimo.

A tutte le latitudini, dei gesti irragionevoli e schifosi - schifosi più dei pidocchi e delle pulci da letto - hanno chiazzato d’odio le pagine dei giornali ma, soprattutto, la vita delle persone. Insulti, botte, scritte sui muri contro ebrei e musulmani, israeliani e palestinesi, tutti mescolati in un grande calderone di brodo cattivo.

Questi gesti irragionevoli e schifosi hanno un nome. Si chiamano crimini d’odio. Il crimine d’odio è qualunque azione offensiva - a gesti o a parole - contro una persona o un gruppo di persone a causa di una loro caratteristica. Può trattarsi della loro origine, della religione, della loro identità di genere, dell’orientamento sessuale o di una disabilità.

Chi perpetra un crimine d’odio pensa che queste persone si meritino di sparire proprio a causa della loro caratteristica. È una cosa gravissima e, infatti, l’odio è un’aggravante, vale a dire che commettere un reato motivato da questo sentimento è più grave e genera punizioni più gravi.

Dal 7 ottobre, ai quattro angoli del mondo sono aumentati a dismisura gli atti antisemiti, cioè contro le persone ebree, e quelli islamofobici, motivati dall’odio nei confronti dei musulmani.

Non è la guerra nella Striscia di Gaza che ha prodotto quest’odio, quest’odio - brutto, ignorante e contagioso come i pidocchi – c’era già. La guerra, però, o meglio, quello che se ne vuol o se ne può capire, crea la giustificazione perfetta per agire. «Hanno cominciato prima loro!», «Tanto si sa che sono tutti così!», «Uno di meno!»…

A Roma, mercoledì sono state imbrattate delle pietre d’inciampo, sampietrini in ottone dove sono incisi i nomi di alcuni ebrei deportati e uccisi durante la Seconda Guerra mondiale. A Milano, qualche giorno prima, un signore aveva quasi alzato le mani su un povero volontario che provava a spiegare le ingiustizie subite dai palestinesi.

A Parigi, Vienna e negli Stati Uniti ci sono state zuffe, insulti, scritte e, in qualche caso, persone uccise in nome di una guerra lontana ma motivate in realtà da un odio cieco e stupido. Tutto quest’odio che si infiltra in Paesi tutto sommato in pace è brutto come le pulci da letto. Non le vedi e non le senti, ogni tanto ti prude una caviglia e non ci fai caso, poi, senza neanche accorgertene, devi buttare i mobili e lavare vestiti e lenzuola in acqua bollente per tirare via tutto questo schifo.

Viviamo in un’epoca in cui i social media ci chiedono di fare tutto in fretta. Leggere poco, condividere tutto, fare subito il tifo, in guerra come allo stadio, senza prendersi il tempo per capire e interrogare il proprio cuore. I social ci vogliono far credere che dentro di noi non ci sia spazio per una moltitudine di sentimenti, che uno scaccia l’altro.

In realtà i sentimenti si incastrano come tessere di un puzzle e c’è spazio per tutto. C’è spazio per il dolore che si prova nei confronti delle prime vittime israeliane e per i civili palestinesi. C’è spazio per la condanna alle azioni del governo israeliano ma anche alle scritte contro gli ebrei che sono comparse sui muri delle grandi città europee. Ma in questo clima confuso è facile che l’odio si faccia strada, in genere un passo dietro a sua sorella, la paura.

Poco fa ho letto una poesia tristissima dello scrittore palestinese Samer Abu Hawwash, che dice più o meno così: “Non importa più / se qualcuno ci ama. / Le bombe ci hanno liberato dalle nostre orecchie, / con le quali solevamo ascoltare parole d’amore. / I missili ci hanno liberato dai nostri occhi, / coi quali solevamo vedere sguardi amorosi. / Le parole cariche d’odio ci hanno liberato dai nostri cuori, / nei quali solevamo custodire gli incanti dell’amore”.

Noi che non abbiamo bombe, che non abbiamo missili, che ci sentiamo così impotenti di fronte a tanto dolore, disarmiamo almeno le nostre parole, ché gli incanti dell’amore e i cuori che li custodiscono meritano di stare al sicuro, almeno loro.

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