Culture

Ma è vero che le donne nella preistoria non cacciavano?

Un nuovo studio dell’University of Delaware mette in discussione il dogma della divisione dei ruoli di genere nel Neolitico. E non è la prima volta che la teoria viene smentita dalle ricerche
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Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
1 novembre 2023 Aggiornato alle 11:00

“Durante la preistoria gli uomini cacciavano e le donne si prendevano cura dei bambini e della casa”. Ognuno di noi, generazione dopo generazione, ha imparato a scuola quando la divisione dei ruoli a seconda del genere sia radicata nelle nostre origini ancestrali. E come quindi, proprio per questo motivo, non che possa essere “naturale”. Peccato che le cose non stiano proprio così.

A mettere in dubbio uno dei dogmi dell’istruzione e il caposaldo su cui si è formata e consolidata buona parte della stereotipizzazione dei ruoli di genere sono stati diversi studi, tra cui ricordiamo Female hunters of the early Americas – pubblicato nel 2020 su Science Advanced dall’University of California in Davis – che aveva riportato la notizia del ritrovamento di un’impressionante raccolta di strumenti per abbattere grosse prede, svolgere l’attività di caccia e lavorare della pelle vicino ai resti di una donna. E che aveva avvisato: questa cacciatrice non era l’unica.

Ora, un nuovo studio torna sull’argomento, che continua a far discutere ricercatori e specialisti, per rafforzare questa tesi.

Il titolo è Woman the Hunter, e nasce dalle ricerche della professoressa di antropologia dell’University of Delaware Sarah Lacy, i cui studi sono stati recentemente pubblicati su Scientific American e in due articoli sulla rivista American Anthropologist.

Il titolo richiama Man the Hunter, la raccolta di articoli accademici pubblicata nel 1968 dagli antropologi Richard B. Lee e Irven DeVore che rese popolare la teoria dell’uomo cacciatore e della donna raccoglitrice. Una teoria che non reggerebbe però alle prove della Storia.

Assieme alla collega Cara Ocobock dell’Università di Notre Dame, Lacy esaminato la divisione del lavoro in base al genere durante il Paleolitico, quindi durante quel periodo che va da circa 2,5 milioni a 12.000 anni fa. Attraverso un esame delle prove archeologiche e della letteratura, le due ricercatrici hanno trovato poche prove a sostegno dell’idea che i ruoli fossero assegnati specificamente a ciascun sesso. Esaminando la fisiologia femminile, invece, il team ha scoperto che le donne non solo erano fisicamente capaci di essere cacciatrici, ma che ci sono poche prove a sostegno del fatto che non lo facessero.

Esempi di uguaglianza per entrambi i generi sono stati riscontrati negli strumenti antichi, nella dieta, nell’arte, nelle sepolture e nell’anatomia.

«Le persone hanno trovato cose nel passato e le hanno semplicemente classificate automaticamente come maschili e non hanno riconosciuto il fatto che tutti quelli che abbiamo trovato in passato avevano questi segni, sia nelle loro ossa che negli strumenti di pietra che vengono posti nelle loro sepolture. Non possiamo davvero dire chi ha fatto cosa, giusto? Non possiamo dire: “Oh, solo i maschi tagliano la pietra focaia”, perché non è rimasta alcuna firma sullo strumento di pietra che ci dica chi lo ha realizzato», ha detto Lacy, riferendosi al metodo con cui sono stati realizzati gli strumenti di pietra. «Ma dalle prove che abbiamo, sembra che non ci siano quasi differenze sessuali nei ruoli».

Lacy sottolinea che il pregiudizio di genere da parte degli studiosi precedenti è il motivo per cui la teoria dell’uomo cacciatore è stato ampiamente accettato nel mondo accademico, diffondendosi infine nella cultura popolare.

I cartoni animati televisivi, i lungometraggi, le mostre nei musei e i libri di testo hanno rafforzato l’idea. Quando le studiose pubblicarono ricerche contrarie, il loro lavoro fu ampiamente ignorato o svalutato: «C’erano donne che pubblicavano su questo argomento negli anni ‘70, ‘80 e ‘90, ma il loro lavoro continuava a essere relegato a: ‘Oh, questa è una critica femminista o un approccio femminista’».

Quella della prospettiva attraverso cui vengono analizzate le scoperte scientifiche, del resto, è una riflessione che anima la ricerca in tutti i campi e che ha più volte mostrato come i bias di genere abbiano influenzato la presunta obiettività scientifica di molte nozioni che abbiamo dato per assodate e scontate.

Come, per esempio, che le donne non fossero fisicamente in grado di cacciare: è vero, gli uomini «avevano un vantaggio rispetto alle donne nelle attività che richiedono velocità e potenza, come lo sprint e il lancio, ma le donne hanno un vantaggio rispetto agli uomini nelle attività che richiedono resistenza, come la corsa. Entrambi i tipi di attività erano essenziali per la caccia nei tempi antichi».

Senza dimenticare che, come ricorda Olivia Gazalé ne Il mito della virilità (Edizioni Mediterranee, 304 p., 26,50 euro), che secondo gli studi dell’antropologa Priscilla Touraille “lo stato sessuato di natura sia apparso più tardi come risultato di una inegualità non genomica ma nutrizionale, […] nella maggior parte delle civiltà le proteine erano riservate ai figli maschi e agli uomini. […] La più debole costituzione delle donne è quindi in parte la conseguenza e non la causa della loro interiorizzazione sociale”.

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