Diritti

Cina: caccia al dna dei tibetani

Per Human Rights Watch le autorità della Repubblica popolare stanno prelevando campioni di sangue da cittadini e bambini della regione autonoma, con l’intento di rafforzare la sorveglianza
Alcune donne anziane tibetane mentre riposavano nel 2020 in un vicolo vicino al tempio di Jokhang a Lhasa, regione autonoma del Tibet.
Alcune donne anziane tibetane mentre riposavano nel 2020 in un vicolo vicino al tempio di Jokhang a Lhasa, regione autonoma del Tibet. Credit: EPA/ROMAN PILIPEY
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
11 settembre 2022 Aggiornato alle 20:00

In molte città e villaggi della regione autonoma del Tibet (Tar), le autorità cinesi stanno intensificando le attività di controllo tra cui la raccolta massiva del dna della popolazione, inclusi bambini e residenti temporanei, in modo arbitrario e senza collegamenti diretti con minacce o reati.

A dichiararlo è un rapporto dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch, secondo cui «le informazioni disponibili indicano che le persone non possono rifiutarsi di fornire il proprio Dna e che la polizia non ha bisogno di prove credibili di alcuna condotta criminale».

«Il governo cinese stava già sottoponendo i tibetani a una repressione pervasiva – ha affermato Sophie Richardson, direttrice cinese di Human Rights Watch – Ora le autorità stanno letteralmente prelevando sangue senza consenso per rafforzare le loro capacità di sorveglianza».

Secondo un’analisi dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI), a partire dal 2013 le autorità di Pechino «hanno ottenuto campioni biometrici da circa l’intera popolazione della Tar (3 milioni di residenti) con il pretesto di esami fisici annuali gratuiti».

Ad aprile di quest’anno la polizia ha avviato una campagna che ha coinvolto almeno tre asili nido della contea di Nyêmo nella prefettura di Lhasa, la capitale della Tar, giustificandola con la volontà di «fornire una solida base di dati per prevenire, combattere i crimini illegali e mantenere l’ordine e la stabilità sociale».

La Ong ha identificato segnalazioni analoghe in 14 località distinte (una prefettura, 2 contee, 2 città, 2 comuni e 7 villaggi), e stima che la raccolta dei campioni di sangue riguardi tutte le 7 prefetture in cui è diviso il territorio della Tar (2 prefetture e 5 città prefettura).

«Costringere le persone a fornire campioni di sangue o prelevare campioni di sangue senza una giustificazione o un consenso informato, significativo e liberamente fornito può violare la privacy, la dignità e il diritto all’integrità fisica di un individuo – sostiene la Ong –. In alcune circostanze può anche costituire un trattamento degradante».

La raccolta e l’indicizzazione dei campioni di sangue però non riguarda solo il Tibet, ma è parte di un piano di sorveglianza genomica ideato sin dai primi anni 2000, quando il Ministero di pubblica sicurezza cinese ha progettato il Sistema di database del Dna delle scienze forensi, una banca dati nazionale parte di un sistema informativo più ampio noto come Golden Shield.

Nel 2016 il programma è stato esteso anche alla regione dello Xinjiang, e dalla fine del 2017 la rete comprende tutta la Cina con l’obiettivo di «migliorare in modo completo la capacità degli organi di pubblica sicurezza di risolvere casi, e gestire e controllare la società».

«La Cina sta spostando il suo sistema orwelliano a livello genetico - ha commentato Richardson, secondo cui - la raccolta del DNA può avere usi legittimi di polizia nelle indagini su specifici casi criminali, ma solo in un contesto in cui le persone hanno una protezione della privacy significativa». Altrimenti, conclude, è «una tempesta perfetta per gli abusi».

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