Futuro

Disinformazione e politica

Il caso della Slovacchia è andato su tutti i giornali e le notizie false (e favorevoli) al candidato pro-russo Robert Fico si sono moltiplicate durante la campagna elettorale che lo ha portato alla vittoria. Che cosa si può fare?
Credit: EPA/MARTIN DIVISEK  

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5 ottobre 2023 Aggiornato alle 06:30

Zuzana Caputova, presidente della Slovacchia, ha denunciato la disinformazione che ha inondato le piattaforme del suo Paese nel corso della recente campagna elettorale.

Secondo gli osservatori intervistati dal New York Times, molti messaggi falsi venivano da profili favorevoli alla Russia, ma molti di più erano locali.

In un messaggio composto con voci e immagini costruite da intelligenza artificiale, il candidato progressista Michal Simecka, veniva mostrato mentre si organizzava per manipolare una parte dei voti degli elettori.

In molti altri messaggi si mostrava il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyy mentre faceva un lussuoso viaggio in Egitto.

I commenti erano violenti.

In uno di questi si invocava l’assassinio del presidente come mezzo per porre fine alla guerra.

Si può pensare che questa non sia una manifestazione di libertà di espressione ma un atto criminale. Ma è soltanto un caso su migliaia.

Secondo i ricercatori di Reset (che hanno realizzato un report per la Commissione europea sulla disinformazione) i post di disinformazione con un chiaro aspetto illegale sono stati visti in Slovacchia più di 500.000 volte nelle due settimane successive all’entrata in vigore del Digital Services Act (Dsa), la legge europea che attribuisce alle grandissime piattaforme, quelle con più di 45 milioni di utenti in Europa, la responsabilità della circolazione di messaggi falsi e pericolosi.

La Slovacchia ha meno di 6 milioni di abitanti. E alla fine, alle elezioni del 30 settembre, gli elettori slovacchi hanno votato a favore del candidato filorusso Robert Fico.

Le piattaforme, da Facebook a TikTok, hanno cancellato i post di disinformazione o di odio: ma prima che riuscissero a individuare i messaggi dannosi, migliaia di persone li vedevano, commentavano e facevano circolare.

In ogni caso, se sono cacciati da una grande piattaforma dopo che si sono costruiti un grande seguito, i disinformatori più interessanti si spostano con i loro seguaci su piattaforme meno usate ma molto efficaci come Telegram: è il caso di Lubos Blaha e dei suoi 50.000 follower che sostengono Fico e la politica del presidente russo Vladimir Putin.

Ma è chiaro che in una guerra la propaganda e la disinformazione aumentano, a livello nazionale e internazionale, mentre le grandi piattaforme non si sono ancora organizzate per contrastarla.

Ebbene, il Dsa, la nuova legge europea è sufficiente? È certamente presto per dirlo.

Per ora però non è sembrata abbastanza efficace per contrastare un’azione di disinformazione forte e orientata a un obiettivo chiaro: vincere le elezioni in uno Stato che sembrava indeciso tra due linee di politica internazionale e spostarlo con relativamente piccoli ma mirati interventi dalla parte desiderata.

In effetti, occorre comunque provare che la disinformazione è stata davvero gigantesca, che le piattaforme non l’hanno contrastata abbastanza, fare un processo, condannarle a una multa (che in teoria può essere salata), affrontare il ricorso che le piattaforme certamente faranno, e intanto gestire l’indebolimento della volontà di perseguire i disinformatori nei parlamenti che nel frattempo passano dalla parte di chi li appoggia.

È necessario completare il Dsa con l’obbligo delle piattaforme ad aprire i loro dati agli scienziati che intendono aiutare la società a conoscere quello che accade in rete e a valutare quando le piattaforme collaborano nella difesa della democrazia.

È anche necessario creare la rete di controllo pubblica che possa aiutare i limitatissimi mezzi messi a diposizione del contrasto alla disinformazione dalle piattaforme.

Ed è importante rendersi conto che la guerra si svolge anche in rete, che le autocrazie strumentalizzano qualsiasi cosa per aumentare il loro potere, mentre le democrazie devono garantire la libertà di espressione a meno di perdere il suo significato.

Una questione di equilibrio non facile. Nella quale le piattaforme dovrebbero prendere una posizione proattiva, scegliendo un metodo aperto e intelligente, non comportandosi in modo recalcitrante.

Le multe le possono spingere a prestare attenzione all’Europa, l’analisi pubblica e scientifica dei dati può favorire reazioni più consapevoli e immediate: la società deve fare la sua parte.

L’idea che la sanità della media ecology può essere salvaguardata anche con un comportamento più consapevole dei cittadini è importante.

L’idea che si possa fare una dieta mediatica più sana, con una riduzione di tutto ciò che crea dipendenze cognitive è necessaria. La costruzione di soluzioni strutturali ai problemi che rendono la popolazione scontenta e che non sono certo prodotti dalle piattaforme è decisiva.

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