Diritti

Parigi 2024, Onu: inappropriato vietare il velo alle atlete

Marta Hurtado, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha criticato il divieto della Francia per le Olimpiadi: «Nessuno dovrebbe imporre a una donna cosa indossare»
Credit: Facebook.com
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
29 settembre 2023 Aggiornato alle 15:00

«Nessuno dovrebbe imporre a una donna cosa deve indossare o non indossare». Con queste parole la portavoce dell’ufficio per i diritti delle Nazioni Unite Marta Hurtado ha spiegato ai giornalisti, a Ginevra, che le donne non dovrebbero essere costrette a rispettare i codici di abbigliamento durante i Giochi Olimpici del 2024 a Parigi.

Le Nazioni Unite, nella persona di Hurtado, sono dunque intervenute nel dibattito francese sulla laicità e l’abbigliamento femminile. I giornalisti le hanno chiesto se il divieto imposto dalla Francia soddisfacesse i criteri dell’Onu in materia di diritti umani. Le sue dichiarazioni seguono quelle della ministra dello Sport Amelie Oudea-Castera, che domenica, intervistata dal canale televisivo pubblico France 3, ha detto che «la nazionale francese non indosserà il velo». E ha ribadito che il Governo è contrario a qualsiasi esposizione di simboli religiosi durante gli eventi sportivi.

«Cosa significa? Significa il divieto di qualsiasi tipo di proselitismo e l’assoluta neutralità del servizio pubblico», ha dichiarato Oudéa-Castéra all’emittente francese, facendo riferimento alla “missione di servizio pubblico” degli atleti francesi. Martedì, in una nota, il ministero dello Sport ha dichiarato che le sue osservazioni sono in linea con la legge francese del 2004 che regola, in applicazione del principio di laicità, l’uso di segni o abiti dimostranti l’appartenenza religiosa nelle scuole pubbliche, universitarie e superiori”: i campioni e le campionesse devono rimanere neutrali e non esprimere opinioni o convinzioni religiose. Per questo, “non possono indossare il velo (o qualsiasi altro accessorio o indumento che esprima la loro affiliazione religiosa) quando rappresentano la Francia in una competizione sportiva nazionale o internazionale”, ha specificato.

Hurtado ha spiegato, però, che la Francia, in quanto firmataria della Convenzione internazionale che elimina la discriminazione nei confronti delle donne, adottata nel 1979 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dovrebbe «prendere tutte le misure appropriate per modificare qualsiasi modello sociale o culturale basato sull’idea di inferiorità o superiorità dei due sessi». E ha aggiunto: «Le pratiche discriminatorie contro un gruppo possono avere conseguenze dannose. Secondo gli standard internazionali sui diritti umani, limitare l’espressione della religione, delle convinzioni o delle scelte è accettabile solo in circostanze veramente specifiche che rispondano a legittime preoccupazioni di sicurezza e ordine pubblico».

Le leggi francesi vietano l’uso di simboli religiosi “ostentati” in alcuni contesti, come nelle scuole statali e da parte dei dipendenti pubblici. Il Paese ha vietato le coperture integrali del viso nel 2010, mentre il Consiglio di Stato francese ha confermato a giugno il divieto per le calciatrici di indossare l’hijab e a settembre quello dell’abaya nelle scuole. Secondo il massimo tribunale amministrativo del Paese le federazioni sportive hanno il diritto di imporre questi alle proprie giocatrici per “garantire il regolare svolgimento delle partite e prevenire scontri o confronti”.

Tutte queste rigide norme hanno lo scopo di mantenere lo Stato neutrale in materia religiosa, ma al tempo stesso si ritiene che garantiscano ai cittadini il diritto di praticare liberamente la propria religione. Tuttavia, secondo i critici, il Governo avrebbe virato a destra nel tentativo di competere con i suoi rivali di estrema destra. L’anno scorso la Francia era già stata rimproverata per aver discriminato una donna musulmana impedendole di frequentare una formazione professionale in una scuola pubblica mentre indossava il velo. Secondo la Commissione per i diritti umani, la decisione di negarle l’accesso al corso ha costituito un atto di discriminazione basato sul genere e sulla religione.

Leggi anche
Diritti
di Chiara Manetti 3 min lettura
Gabriel Attal
Islamofobia
di Chiara Manetti 4 min lettura