Diritti

Addio Giorgio Napolitano

L’ex presidente della Repubblica, il primo a essere rieletto, è morto oggi a 98 anni. Il suo percorso politico ha segnato la storia del nostro Paese. Lo abbiamo riassunto in questo articolo
Credit: ANSA
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22 settembre 2023 Aggiornato alle 21:00

Il primo presidente della Repubblica a essere rieletto, il primo ex comunista a diventare capo dello Stato e ministro degli Interni.

Giorgio Napolitano si è spento oggi all’età di 98 anni presso la clinica Salvator Mundi al Gianicolo in Roma. La camera ardente verrà allestita a Palazzo Madama.

La sua carriera politica è stata costellata di incarichi e riconferme inaspettate che lo hanno posto al centro della vita pubblica italiana per oltre 60 anni.

Nato nel 1925 a Napoli, Napolitano si avvicina al Partito comunista italiano (Pci) già nel 1944, entrando in contatto con il gruppo di comunisti locali che si prepara ad accogliere l’allora segretario del Pci Palmiro Togliatti. Da quel momento in poi rimarrà tra le fila comuniste fino allo scioglimento del partito stesso, avvenuto nel 1991.

Nel 1953 diventa per la prima volta deputato. Nel frattempo nel 1947 si è laureato in Giurisprudenza a Napoli.

Nel corso degli anni Napolitano diventa il leader della “destra” del Pci, l’ala più moderata che guarda con interesse alle evoluzioni del socialismo europeo.

Le sue posizioni a volte critiche, non lo faranno mai però deragliare pubblicamente dalla linea ufficiale del partito. Neanche in situazioni complicate.

Come quando nel 1956 l’Unione sovietica invade l’Ungheria.

Napolitano, insieme a tutto il Pci, decide di appoggiare l’invasione. «Fu un errore», riconoscerà nel 2012 in un’intervista a Repubblica.

Un errore che però non viene ripetuto nel 1968 in occasione della Primavera di Praga. Anche in questo caso le truppe sovietiche intervengono per sopprimere le rivolte di uno Stato satellite, ma questa volta Napolitano e il Pci condannano l’intervento. «La repressione sovietica di quelle proteste rappresentò l’embrione dei dubbi sull’Urss», spiegherà sempre a Repubblica.

I dubbi sull’Unione sovietica diventano ancora più forti nel vertice del Pci con l’avvento di Enrico Berlinguer.

Il nuovo segretario del partito teorizza l’eurocomunismo e il distacco dall’Unione sovietica. Napolitano lo sostiene, ma vorrebbe posizioni ancora più critiche verso l’Urss e un appoggio più chiaro alla democrazia americana. Anche perché nel frattempo lui stesso ha ottenuto un piccolo grande record su questo fronte: è il primo dei leader comunisti italiani a ottenere un visto per gli Stati Uniti.

La sua amicizia con gli statunitensi è confermata anche dall’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger che lo definisce: «Il mio comunista preferito».

Nel corso degli anni diventa anche un punto di riferimento per le questioni europee, grazie alle sue idee fortemente europeiste.

Nel 1989 il crollo del Muro di Berlino spazza via definitivamente il blocco comunista e sembra aprire la vita a quel socialismo europeista inseguito da tanto tempo da Napolitano. Gli anni Novanta sono anni di incarichi importanti: dal 1992 al 1994 è presidente della Camera e nel 1996, dopo la vittoria di Prodi, diventa il primo ex comunista a diventare ministro dell’Interno. Lascia la carica nel 1998 quando cade il governo Prodi e a Palazzo Chigi arriva Massimo D’Alema. Dell’esperienza al Viminale Napolitano conserverà soprattutto le difficoltà legate alle migrazioni. Nel 2001 condanna le posizione antimigranti della Lega e all’Unità spiega: «L’immigrazione è una risorsa».

Continua a essere uno dei punti di riferimento della sinistra postcomunista. Poi nel 2006 bisogna scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Inizialmente si parla con insistenza di D’Alema, ma Silvio Berlusconi, leader del centrodestra, si mette di traverso. Ecco allora che si inizia a fare il nome di Napolitano. «Non è una candidatura né vincente né convincente», scrive il Giornale. Dovrà ricredersi: il 10 maggio Napolitano viene eletto presidente della Repubblica. È il primo ex comunista ad assumere questo incarico e la sua elezione non piace a tutti. Il leghista Roberto Calderoli arriva a dire: «Non lo riconosciamo come presidente della Repubblica».

Nel corso del suo primo settennato si scontra ripetutamente con Berlusconi, che lo accusa di remare contro le sue riforme sulla Giustizia, ma anche con la sua stessa parte politica: nel 2011 l’Italia è in preda alla crisi economica e Berlusconi si dimette da presidente del Consiglio. Se si andasse alle elezioni, il centrosinistra, guidato da Pierluigi Bersani, avrebbe buone probabilità di vincere, ma Napolitano, d’accordo con gli altri leader europei, promuove la nascita di un governo tecnico guidato da Mario Monti. Questa scelta condanna il centrosinistra a sostenere due anni di politiche di austerity che di fatto sgonfiano il suo consenso e pongono le basi per l’entrata in parlamento del Movimento 5 stelle.

Sul fronte della legalità ci sono stati anche episodi non scontati: nel 2008 decide di guardare il film “Gomorra” insieme allo scrittore Roberto Saviano, autore dell’omonimo libro. Un’occasione per rispolverare la sua passione per il cinema e per il teatro, ma, anche e soprattutto per invitare Napoli e l’Italia a «reagire alla camorra».

Nel 2013 il settennato finisce e bisogna scegliere di nuovo il presidente della Repubblica: il Pd ci prova, ma i suoi candidati vengono impallinati dai suoi stessi parlamentati a causa di faide interne. Anche le altre forze politiche sono divise e non riescono a trovare la quadra su un nome. Così alla fine tutti i principali partiti, a eccezione del Movimento 5 stelle, trovano una sola soluzione: chiedere a “Re Giorgio”, come nel frattempo è stato soprannominato, di farsi rieleggere. Napolitano ha ormai 88 anni, ma decide di accettare per «salvaguardare le istituzioni».

La sua elezione viene applaudita anche dai leghisti che per bocca di Luca Zaia lo definiscono: «Patrimonio di tutti gli italiani».

Il presidente riconfermato fa una bella figura, i parlamentari che lo hanno eletto meno. E i giornali esteri se ne accorgono. Il Financial Times titola: «Un gigante tra i nani di Roma». «Fustiga il parlamento», è invece il commento di Le Monde dopo il suo primo discorso.

Gli ultimi due anni vedono l’avvicendamento tra Enrico Letta e Matteo Renzi alla guida del Paese.

Poi nel 2015 arriva il momento di farsi da parte a causa dell’età, come anticipato nel suo discorso di fine anno del 2014.

Annunciando le sue dimissioni dice: «Ho fatto del mio meglio in questi lunghi e travagliati anni della mia Presidenza per rappresentare e rafforzare l’unità nazionale, per sanare le ferite che aveva subito, per ridarle l’evidenza che aveva perduto: se vi sia in qualche modo riuscito, toccherà dirlo a quanti vorranno con obbiettività e insieme con spirito critico analizzare il mio operato».

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