Ambiente

Sarà la crisi geopolitica a spingere la transizione verde?

Parafrasando una celebre frase di Giovanni Falcone, per capire la guerra è necessario seguire il petrolio, il gas, il carbone: la Ue spende 1 miliardo di euro al giorno in bollette energetiche. E la dipendenza da Putin, con un vero Green Deal, potrebbe diventare sempre più remota
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8 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Quasi un miliardo di euro in un giorno. È questa, al 2 marzo 2022, la dimensione della bolletta energetica complessiva dei Paesi dell’Unione Europea, per l’acquisto di gas (65% circa) e petrolio russi.

Un valore che è una impietosa fotografia del potere che gli Stati Europei hanno progressivamente lasciato concentrare nelle mani di Putin e della ristrettissima cerchia di oligarchi che condividono con lui il potere, a discapito della propria autonomia e indipendenza energetica, e, di conseguenza, politica.

Difficile, in queste condizioni, pensare che sanzioni economiche che non affrontino davvero il capitolo “energia” possano lasciare il segno, possano davvero fare la differenza in una partita drammatica e urgente come quella che si sta giocando sulla pelle della popolazione ucraina.

La dipendenza italiana dai combustibili fossili è pari a oltre il 70% del totale (considerando tutte le tipologie di energia sulle quali si basano la nostra società e la nostra economia: elettrici, termici, per mobilità e trasporti, etc.). Incuranti della necessità di ridurre drasticamente l’utilizzo di ogni tipo di risorsa fossile, senza uno straccio di piano strategico per traguardare davvero gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, abbiamo consumato, nel 2021, 76,2 miliardi di metri cubi di gas, importandone quasi il 95%.

Il 40% delle nostre importazioni complessive, peraltro, arriva direttamente dalla Russia, con una dipendenza che sfora ampiamente il confine della corresponsabilità, quando si finiscono per sovvenzionare le politiche dissennate di un Paese, per il quale l’invasione dell’Ucraina non rappresenta certo un imprevedibile fulmine a ciel sereno.

“Per capire la mafia seguite i soldi”, diceva il magistrato Giovanni Falcone. Parafrasando, potremmo dire, con la medesima efficacia e pertinenza, che per capire la guerra, con le sue reali motivazioni, le connivenze, i rapporti di forza, le corresponsabilità, è necessario seguire il petrolio (il gas, il carbone…).

Il gravissimo ritardo accumulato nell’avvio di una reale e profonda transizione energetica, da questo punto di vista, è, per il nostro Paese, una scelta che si dimostra, anche in questa occasione, fallimentare: non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello economico, sociale ed etico.

Famiglie, aziende, Enti territoriali sono, in questo momento, in balia di aumenti delle bollette in grado di mettere seriamente in crisi tasche, bilanci e competitività, mentre si continua ossessivamente a parlare di nuove infrastrutturazioni legate al gas, di riaccensione di emergenza di centrali a carbone (se non, addirittura, si tenta di riaprire un dibattito morto e sepolto come quello legato al ricorso alla fissione nucleare in Italia), senza mai andare al cuore del problema, nemmeno per sbaglio.

Il Ministero della Transizione Ecologica, malgrado il nome e le aspettative inizialmente evocate, non è ancora stato in grado di adeguare il già carente e poco ambizioso Piano Nazionale per l’Energia e il Clima (PNIEC) ai nuovi obiettivi comunitari al 2030, né di adottare le promesse misure strategiche per il progressivo abbandono dei sussidi al mondo delle fossili, a favore di una più ampia e rapida transizione. Eppure, “se avessimo avuto il Green Deal 5 anni prima, non ci troveremmo in queste condizioni, perché saremmo meno dipendenti dai combustibili fossili e dal gas naturale”, ha detto a settembre scorso il vice presidente della commissione europea Frans Timmermans.

I comparti delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, paradossalmente, continuano a essere evocati come una simpatica nicchia, non in grado di fare la differenza, con una miopia e un autolesionismo ormai del tutto inaccettabili.

È in questo contesto che arriva la proposta al governo di Elettricità Futura (associazione delle imprese elettriche italiane, in seno a Confindustria): lo sblocco di meno di un terzo delle autorizzazioni attualmente in attesa di risposta in Italia entro giugno 2022, per la realizzazione di 60 GW di impianti di generazione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabile (in particolare solare ed eolica) in 3 anni.

Una proposta che molti hanno giudicato provocatoria e improbabile, ma che gli industriali (Enel a guida Starace in testa) giudicano persino conservativa. Una proposta strategica e lungimirante, una volta tanto, che consentirebbe, in 3 anni, di traguardare un taglio annuo di 15 miliardi di metri cubi di gas (20% del totale), con l’attivazione di 85 miliardi di euro di investimenti e la creazione di 80.000 nuovi posti di lavoro.

Per la gestione di una crisi (in particolare se drammatica come quella legata a una guerra), contano certamente le decisioni che si prendono, ma contano anche (moltissimo), le condizioni a partire dalle quali quella stessa crisi si affronta.

Ed è in momenti come questo che si rende manifesto quanto l’Italia abbia perso moltissimi treni e fatto moltissimi sbagli, penalizzando e paralizzando (a partire dal 2012) un settore promettente e in espansione come quello delle fonti rinnovabili e mortificando alcune delle migliori energie imprenditoriali e professionali del Paese.

Eppure la strada è segnata, ed è fatta di efficienza energetica, di elettrificazione dei consumi, di produzione da fonti rinnovabili, di gestione intelligente di domanda e offerta, supportata da adeguati sistemi di accumulo. C’è da sperare che laddove non sono riuscite le crisi climatica e sanitaria, riesca quella geopolitica alle porte di casa (che si sarebbe potuta e dovuta evitare). Si tratta di aprire gli occhi il prima possibile e di tentare finalmente di risolverle tutte, in colpo solo.