Diritti

Perché le donne fanno meno domande alle conferenze?

Secondo uno studio di Cambridge, le partecipanti hanno 2,5 volte meno probabilità di porre quesiti rispetto agli uomini durante i panel. La pandemia, che ha spostato gli eventi online, non ha migliorato le cose
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Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
14 settembre 2023 Aggiornato alle 15:00

Ci hai mai fatto caso? Agli eventi dal vivo, quando si tengono conferenze, convegni o lezioni accademiche, è meno probabile che siano le donne a fare domande rispetto alla controparte maschile. Nel corso degli anni molti studiosi si sono interrogati sul perché di questa tendenza, raccogliendo una serie di dati che confermano un’abitudine molto difficile da interrompere.

L’autrice e presentatrice radiofonica britannica Claudia Hammond racconta sull’emittente Bbc che innumerevoli volte, durante gli eventi pubblici che ha presentato, si è trovata di fronte un gran numero di uomini con la mano alzata, pronti a farle una domanda. E le donne? “Mi hanno detto che avrebbero voluto, ma non lo hanno fatto”. Perché?

Numerosi studi hanno cercato di trovare una risposta. La University of Cambridge, nel 2017, ha osservato 250 eventi in 35 istituzioni accademiche in 10 Paesi: le donne hanno 2,5 volte meno probabilità di porre una domanda durante un evento rispetto agli uomini, anche quando, tra il pubblico, il rapporto tra i sessi è di parità. Questo accadeva, generalmente, quando un uomo poneva la prima domanda. Quando lo faceva una donna, la divisione di genere tra chi chiedeva qualcosa era, in media, proporzionale a quella del pubblico. Pare che anche il gesto di passare il microfono a una donna piuttosto che a un uomo durante un intervento pubblico possa fare la differenza.

Una ricerca più recente, del 2022, condotta dalla University of California, Berkeley, ha osservato una conferenza e la platea che vi assisteva, composta da biologə, astrofisicə, economistə e altrə professionistiə (al 63% uomini). Per fare una domanda, era necessario lasciare il proprio posto e mettersi in fila di fronte a un microfono in bella vista. Il pubblico maschile ha posto il 78% dei quesiti.

Anche un altro studio pubblicato sulla rivista scientifica PLOS One ha rilevato che, durante una grande conferenza internazionale, tra i soli ricercatori più giovani, gli uomini hanno posto 1,8 domande per ciascuna posta da una partecipante, cosa che suggerisce anche una carenza di partecipazione femminile alle conferenze scientifiche.

Cosa scoraggia le donne? Non si tratta della mancanza di domande da porre. Alecia Carter, autrice del già citato studio di Cambridge, ha analizzato le risposte di 600 accademici di 20 Paesi. Sia gli uomini che le donne hanno rivelato che, a volte, non si sono offerti di fare una domanda anche se ne avevano in mente una. Ma il pubblico femminile ha confessato di non averlo fatto perché non riusciva a trovare il coraggio, o temeva di aver frainteso il contesto, o riteneva che l’oratore fosse troppo eminente o intimidatorio, o ancora sentiva di non essere abbastanza intelligente per porre una buona domanda. Le donne erano anche meno propense a considerarsi esperte in materia. I risultati mostrano una prevalenza di bassa autostima, mancanza di fiducia, scarsa immagine di sé e paura di fallire.

La pandemia ha invertito questa tendenza? Pare proprio di no, anche se, a prima vista, lo svolgimento di lezioni, conferenze ed eventi online ha creato una nuova via per porre le domande, permettendo agli utenti di non mostrarsi, di non farle ad alta voce, ma di digitarle in una chat, a volte in forma anonima. Da allora, sempre più eventi dal vivo sfruttano applicazioni che consentono di inviare le domande via telefono, che vengono lette dall’oratore attraverso un tablet.

Eppure, la tendenza prosegue: lo dimostra uno studio condotto da Hanna Julienne, genetista statistica presso l’Istituto Pasteur di Parigi, su una conferenza francese di bioinformatica tenutasi online per 4 giorni nel giugno 2021. Delle 192 domande scritte pubblicate in una chat durante la conferenza, 57 sono state poste da donne, 115 da uomini e 20 da persone identificate come “anonime” o appartenenti a un gruppo. «L’anzianità aggrava gli effetti», ha spiegato a Nature Julienne. Un uomo over 35 «farebbe, in media, 9,3 domande in più rispetto a una donna più giovane, mentre una donna over 35 farebbe solo 2,3 domande in più rispetto a un uomo più giovane».

Secondo Gillian Sandstrom, della University of Sussex, i moderatori hanno un ruolo fondamentale nel far sì che tutti si sentano a proprio agio nel porre una domanda. In primis, quando possibile, si potrebbe scegliere una donna per fare la prima domanda. «Quando nessuna donna ha voluto farne una, a volte ho parlato al pubblico della ricerca in questo campo e ho chiesto apertamente se ci fosse una donna che volesse fare la prima», ha spiegato la conduttrice Claudia Hammond.

Nello studio di Julienne, è emerso che fare una breve pausa tra il panel e l’inizio della fase dedicata a domande e risposte può dare alle persone la possibilità di provare le proprie con un vicino, verificando che non si tratti di qualcosa che possa apparire stupido o già trattato. Le donne, inoltre, fanno più domande nelle sessioni più lunghe, quindi concedere più tempo alle domande del pubblico può essere un’altra valida soluzione (quando praticabile).

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