Le ricercatrici pubblicano il 20% in meno dei colleghi maschi

Le disuguaglianze di genere stanno lentamente scomparendo nelle scienze naturali e sociali? La risposta è nelle pagine di Equity for Women in Science: Dismantling Systemic Barriers to Advancement, il libro di Cassidy R. Sugimoto e Vincent Larivière, pubblicato da Harvard University Press e di cui recentemente ha parlato la ricercatrice Virginia Valian su Nature: “meno evidente, quasi invisibile, il gender gap è ancora con noi”, scrive Valian rispondendo alla domanda inziale.
Di questo divario, molto più profondo di quello che potremmo pensare, il libro di Sugimoto e Larivière traccia i confini, attraverso un’enorme mole di dati “scioccanti” che analizzando “quali ricercatori pubblicano, ottengono crediti, si spostano, ottengono finanziamenti, collaborano e ricevono citazioni” mostra quanto sia profondamente radicato il pregiudizio contro le donne nella scienza.
Ma cosa dicono i dati? Che le ricercatrici pubblicano meno dei colleghi uomini. In media, il 20% in meno tra il 2008 e il 2020. Inoltre, non è possibile avere dati relativi alle pubblicazioni delle persone non binarie, e questo è di per sé significativo.
La differenza, però, si riduce per le generazioni più giovani: analizzando il campione di ricercatori e ricercatrici che hanno pubblicato il loro primo articolo nel 2008, infatti, la percentuale scende al 7%. Questo è legato al fatto che i giovani pubblicano di più, soprattutto le donne. Una tendenza che, spiega Valian, “potrebbe essere spiegata dal fatto che ora ci sono più donne in quasi tutti i campi, esiste maggiore attenzione ai divari di genere, ci sono maggiori sforzi per sostenere le donne nella scienza, maggiori assunzioni di donne negli istituti di ricerca, o alcune combinazione di questi e di altri fattori”.
Per provare a spiegare il gap di genere, gli autori hanno indagato i fattori che possono rappresentare uno svantaggio per le donne: non solo collaborazioni, mobilità e finanziamenti ma, soprattutto, il ruolo della genitorialità che (in questo campo come in quasi tutti i settori lavorativi) rappresenta un elemento di penalità per le donne. Più che il numero di figli, è stato scoperto che a fare la differenza sulla produttività è il tempo trascorso attivamente come genitore. Un ruolo che, come sappiamo e come dimostrano gli studi, è generalmente occupato dalle donne, maggiormente rispetto alla loro controparte maschile in quella che viene definita “genitorialità ‘invisibile’: essere di guardia, pianificare, monitorare il benessere emotivo dei bambini e così via”.
Il divario di genere è rintracciabile a tutte le latitudini, nondimeno ci sono differenze, anche notevoli, da Paese a Paese: “la percentuale di autrici sui giornali varia, anche tra i Paesi economicamente avvantaggiati. Il Giappone ha tassi inferiori rispetto alla Cina (17% vs 26%), mentre Cina e Germania mostrano tassi simili. Sono tutti inferiori alla media mondiale del 31%”.
Ma il libro indaga anche la disparità nei tassi di citazione. “Gli uomini sono citati più delle donne. Le persone che credono che il sistema attuale sia in gran parte meritocratico vedrebbero le citazioni come un ragionevole indicatore della qualità e dell’importanza di un articolo. Significa che le donne svolgono solo lavori di qualità inferiore?” chiede provocatoriamente Valian.
Del resto, come aveva mostrato un altro studio del 2022 pubblicato proprio su Nature, Women are credited less in science than man, questa condizione può essere legata a una minore produttività ma anche “al mancato riconoscimento dei contributi delle donne”. La ricerca, infatti, mostrava che le donne hanno molte meno probabilità di essere citate in un determinato articolo o brevetto prodotto dal loro team rispetto ai loro coetanei maschi: una situazione comune alla maggior parte dei campi scientifici e che caratterizza quasi tutte le fasi della carriera.
I contributi scientifici delle donne hanno sistematicamente meno probabilità di essere riconosciuti e il motivo “è perché il loro lavoro spesso non è conosciuto, non è apprezzato o viene ignorato. Almeno parte del divario di genere osservato nella produzione scientifica potrebbe essere dovuto non a differenze nel contributo scientifico, ma piuttosto a differenze nell’attribuzione”.
La disuguaglianza, però, non è evidente solo nei numeri, quanto piuttosto nelle esperienze delle donne nella scienza, oltre che in tantissimi esempi di pratiche istituzionali discriminatorie. Nature, a esempio, ricorda Valian, fino al 2000 aveva nella propria mission l’espressione “uomini di scienza” e non ha avuto un caporedattore donna fino al 2018.

