Diritti

Cosa ci insegna la lettera di un padre alla ragazza violentata a Palermo

La missiva pubblicata su Repubblica è una denuncia a un sistema che si scaglia contro chi subisce violenza sessuale. E in cui essere vittima è una colpa
Un momento della manifestazione contro gli stupri e il patriarcato a Mondello (Palermo), 24 agosto 2023
Un momento della manifestazione contro gli stupri e il patriarcato a Mondello (Palermo), 24 agosto 2023 Credit: ANSA/IGOR PETYX
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30 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

Il padre della vittima di uno stupro avvenuto lo scorso Capodanno a Roma ha scritto una lettera su Repubblica per rivolgersi alla ragazza diciannovenne violentata da sette ragazzi a Palermo.

Il suo messaggio di appoggio è un tentativo di preventivare cosa dovrebbe aspettarsi la ragazza di Palermo basandosi sull’esperienza delle conseguenze del trauma vissuto da sua figlia e una denuncia a un sistema di giustizia che violenta le vittime di violenza sessuale per una seconda volta: “Il prezzo da pagare a esporsi in un processo per stupro è enormemente superiore a ogni possibile vantaggio personale: si fa per le figlie e i figli di tutti gli altri, in un mondo che consiglia il silenzio perché è una macchia essere vittime. Anche questo è uno stupro collettivo, e tu che ti sei esposta un po’ di più probabilmente già lo sai”.

Nelle ultime settimane il sistema mediatico italiano e gli ambienti social ce l’hanno messa tutta per scavare ancora più a fondo nell’ennesima straziante vicenda di stupro, la scelta di molte testate di pubblicare il video girato dagli stessi stupratori, finito anche in gruppi Telegram frequentati da decine di migliaia di uomini, è stata una seconda violenza.

Anche la scelta di pubblicare le conversazioni degli stupratori con i loro amici non ha aggiunto niente a livello informativo, è stata solamente un altro modo di sfruttare l’avvenuto per creare engagement, un’altra forma di violenza.

Rendere pubblico l’username dell’account della vittima è un’altra forma di violenza. Dire che la ragazza se la sia cercata o che fosse “una poco di buono”, come ha fatto la madre di uno dei ragazzi coinvolti, è l’ennesima forma di violenza verso la vittima.

La vittimizzazione secondaria è un cardine della cultura dello stupro, come sottolineato in modo potente e doveroso anche nella lettera: “Mia figlia aveva 16 anni quando è stata drogata e stuprata da almeno cinque individui. È inequivocabile, il referto ospedaliero certifica gravi lesioni. Ma per noi, come temo sarà anche per te, l’evidenza non basta: il gioco processuale sarà a dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo. Uno stupro è un puzzle di tradimenti, e dobbiamo raccontare a tutti cosa significano nel quotidiano: il tradimento di chi ti usa come un oggetto e poi il tradimento di chi vede in te, vittima che ha deciso esporsi per tutti, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di sperma”.

Questo retaggio culturale è simboleggiato alla perfezione da quanto scritto in un post su Facebook dal comandante dei vigili della polizia municipale del comune sardo di San Gavino Monreale: I genitori dovrebbero insegnare alle figlie a non scimmiottare i maschi e non ubriacarsi. A noi maschi fa bene ogni tanto ubriacarsi… a voi invece malissimo. Restate donne e non cercate di fare gli uomini… Siete femmine e non maschi”.

Per gli uomini sostanze stupefacenti come l’alcol sono un attenuante, per le donne un aggravante. Tutte queste situazioni spiegano perfettamente perché molte donne non trovino la forza di denunciare.

Un altro tratto della lettera che trovo fondamentale è questo: “La gente non capisce che gli stupratori – con la coerenza dei vigliacchi - non scelgono la ragazza più “provocante”, ma quella più indifesa”. Purtroppo, nel 2023 serve ancora ribadirlo, non esiste nessuna attenuante allo stupro, tantomeno il fatto che la vittima porti scollature troppo ampie o gonne troppo corte.

Ciò che è emerso a seguito dei fatti di Palermo, di Caivano e di tutti i casi simili che hanno trovato meno esposizione mediatica è un quadro generale francamente sconcertante, per fare un eufemismo, dove molti uomini entrano nel dibattito solamente per autoassolversi e dire “noi non siamo come quelle bestie”, dove sono stati creati profili social falsi con il nome degli stupratori, che hanno raggiunto migliaia di follower in poche ore. La soluzione non può certamente essere la passerella delle figure di potere di turno nei luoghi dove sono avvenute le violenze, tantomeno la proposta di applicare la pena della castrazione chimica, una barbarità ritirata fuori dal cilindro che non risolverebbe un bel niente, visto che lo stupro è soprattutto una questione di affermazione di potere.

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