Ambiente

È tardi per decidere cosa fare del granchio blu?

Promuovere la pesca e il consumo di questa specie invasiva potrebbe non essere la cosa migliore per il controllo dell’invasione
Credit: Aquabestnyc.com
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4 settembre 2023 Aggiornato alle 19:00

Una volta cotto, il granchio blu non ha più il colore da cui prende il nome.

Il carapace diventa rosso-arancione e la sua carne ha un sapore dolce, simile a quella di altri crostacei: aragoste, astici e gamberi.

Il nome scientifico è Callinectes sapidus e il suo areale nativo – ovvero l’area di distribuzione originaria – si estende lungo la costa atlantica del continente americano, dall’Uruguay al Canada. Il granchio blu si mangia in diverse regioni del mondo, soprattutto nelle zone sulla costa est degli Stati Uniti.

Si preparano zuppe, involtini, insalate. I Maryland blue crabs sono uno dei cibi popolari del Maryland.

Oltre a essere parte della tradizione culinaria americana, questo granchio è anche una specie invasiva in diverse aree del mondo: in Europa, in Australia e in Giappone.

La prima segnalazione europea è del 1901: un granchio blu sulla costa atlantica della Francia, probabilmente trasportato con le acque di zavorra.

Nel Mediterraneo, invece, è stato avvistato per la prima volta nel 1947 e da allora si sono susseguite altre segnalazioni, soprattutto negli ultimi anni.

Le specie invasive sono organismi che, introdotti in un nuovo ambiente a causa delle attività umane, sono in grado di riprodursi e diffondersi, provocando impatti negativi sull’ecosistema e sull’economia dell’area invasa.

«Dall’arrivo al momento in cui la specie si diffonde tanto da provocare danni rilevanti possono passare anche decine di anni», spiega a La Svolta Gianluca Sarà, professore di Ecologia all’Università di Palermo e coordinatore dello spoke sulla biodiversità marina al Centro Nazionale per la Biodiversità (Nbfc). Sarà svolge attività di ricerca sugli organismi invasivi e da alcuni anni, insieme a colleghi e colleghe di altri Paesi del Mediteranno, studia i granchi blu e i fattori che ne favoriscono l’espansione.

«Alcune popolazioni di questi granchi hanno trovato habitat e condizioni ideali e così hanno raggiunto densità elevate. Il numero di individui che si sono riprodotti è aumentato e dunque è salita la probabilità di colonizzare nuovi ambienti ed espandersi», dice Sarà. «E poi l’innalzamento della temperatura del mare e le nuove condizioni dei regimi fluviali dovute ai cambiamenti climatici potrebbero aver favorito la diffusione di questi animali nel recente periodo», aggiunge. Questa specie non vive solo sulle coste, ma può sfruttare anche foci dei fiumi, paludi e lagune salmastre. È onnivora e sta diventando un problema soprattutto nelle zone dove si allevano cozze e vongole.

Un regolamento dell’Unione europea stabilisce le norme per prevenire e mitigare gli effetti negativi delle specie invasive.

Nel testo si legge che è fondamentale mettere in atto misure di prevenzione, cercare di rilevare subito gli organismi non nativi e eradicarli rapidamente per impedirne la diffusione. Gli interventi di eradicazione hanno successo quando attuati appena avviene l’introduzione e quando le popolazioni sono ancora piccole e localizzate. Spesso, però, la presenza di una specie invasiva viene rilevata quando il processo di invasione è già in una fase avanzata e le strategie di eradicazione rapida diventano infruttuose o non sufficienti.

«Sappiamo ancora troppo poco delle condizioni che favoriscono questa specie. In linea di principio gli organismi invasivi vanno rimossi prima possibile, ma per l’attuale situazione del granchio blu in Italia, promuoverne la pesca, la vendita e il consumo potrebbe produrre molti effetti indesiderati». Per esempio, il professore spiega che la rimozione di una parte degli individui potrebbe portare all’alterazione delle dinamiche di competizione intraspecifica che naturalmente regolano la crescita delle popolazioni, favorendo la proliferazione dei granchi superstiti o lo sviluppo dei giovani e provocando un incremento netto della popolazione, che invece andrebbe limitata.

Oltre al Callinectes sapidus, nel Mediterraneo c’è un altro granchio invasivo: il Portunus segnis, il granchio nuotatore blu africano, originario dell’oceano Indiano occidentale.

Per adesso questo granchio è invasivo e localizzato in Tunisia.

«Stiamo monitorando la situazione delle due specie. Potrebbero trovarsi a condividere le stesse aree e allora occorrerà fare altri studi per comprendere le loro interazioni e gli effetti sugli ecosistemi invasi. Le dinamiche ecologiche sono complesse e finché non si conoscono bisogna essere molto cauti nel proporre soluzioni facili», conclude. Forse il granchio blu diventerà il piatto tradizionale della cucina pugliese ma per adesso sarebbe meglio mangiarlo in vacanza negli Stati Uniti.

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