Diritti

La qualità del sonno? È una questione di Cap

Uno studio pubblicato sulla rivista Clocks & Sleep ha scoperto che chi vive in aree svantaggiate dorme peggio. L’indagine, condotta su oltre 500.000 britannici, è la prima su larga scala nel suo genere
Credit: Isabella Fischer
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
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9 agosto 2023 Aggiornato alle 12:00

Dimmi dove abiti e ti dirò come dormi. O, meglio, dimmi quanto è ricca la zona in cui vivi e ti dirò se hai una qualità di sonno migliore o peggiore. Potremmo riassumere così i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Clocks & Sleep, secondo cui le persone che vivono nelle aree svantaggiate del Regno Unito hanno una qualità del sonno peggiore rispetto a quelle delle aree privilegiate.

Condotta su oltre 500.000 britannici, la prima indagine su larga scala nel suo genere ha scoperto che la privazione sociale e l’etnia influiscono entrambe sul sonno, rilevando che coloro che risiedono in località esclusive hanno maggiori probabilità di dormire dalle 7 alle 9 ore raccomandate a notte, mentre chi abita nelle zone più povere ha riferito di avere più difficoltà ad alzarsi al mattino ed essere più propenso a fare un pisolino durante il giorno o svegliarsi nel cuore della notte.

Giovani, maschi, bianchi, impiegati, proprietari di una casa, più istruiti, residenti in zone ricche, proprietari di più auto e di un reddito familiare più elevato: ecco l’identikit di chi ha registrato un sonno migliore. Solo il 54% delle persone Bipoc, invece, ha riportato livelli di sonno adeguati rispetto al 76% dei bianchi, al 67% delle etnie miste e al 69% degli asiatici. 8 bianchi su 10 (82,4%) considerano più facile alzarsi la mattina rispetto al 74% dei neri, al 73,5% degli asiatici e al 74% delle etnie miste.

Lo studio non si è concentrato sui motivi che portano a queste differenze, ma secondo gli esperti una migliore qualità del sonno nelle aree ricche potrebbe essere dovuta a una serie di fattori, tra cui meno rumore, inquinamento, inquinamento luminoso e criminalità. Non solo: le persone nelle aree più povere hanno anche maggiori probabilità di svolgere lavori notturni e turni.

«Sappiamo che un fattore chiave è il sovraffollamento, quando ci sono più persone in una stanza o in una casa», ha aggiunto in un’intervista al Guardian John Groeger, ricercatore e capo di Sleep Well Science presso la Nottingham Trent University. «Quello che stiamo dicendo è che se guardi l’area in cui vivono le persone, fondamentalmente il loro codice postale, quello di per sé, al di là del reddito, al di là del fatto che tu sia single o sposato, vecchio o giovane, ha il maggiore impatto sulla qualità del sonno».

I ricercatori hanno utilizzato i dati per creare “l’indice del sonno problematico”, uno strumento che combina tutti i problemi del sonno in un’unica misura che può essere utilizzata nelle strutture sanitarie della comunità per supportare coloro che hanno una scarsa qualità del sonno.

«Potremmo dire che in questi 100 codici postali nel Paese ci sono maggiori probabilità che non ci siano persone che dormono male e creare un tipo di messaggio molto più socialmente consapevole sul sonno», ha detto Groeger. «Ci dà anche la possibilità di stimare quanto buono è il sonno di qualcuno in base alla sua età, sesso, codice postale e alcune domande relative al sonno».

I risultati dello studio, però, non sono sorprendenti. Sebbene si tratti della prima ricerca su vasta scala, infatti, non è la prima analisi che dimostra che sonno, benessere socioeconomico ed etnia sono strettamente correlati.

Già 2 diversi studi del 2010 avevano mostrato la disuguaglianza del sonno” nella popolazione, mostrando come “la scarsa qualità del sonno è fortemente associata alla povertà e all’etnia” e comeuno stato socioeconomico inferiore è associato a una durata del sonno breve o lunga e a disturbi del sonno (ad esempio, apnea notturna), che sono tutti correlati a un aumento del rischio di mortalità”.

8 anni dopo, lo studio Sleep health disparity: the putative role of race, ethnicity and socioeconomic status aveva confermato che “la qualità del sonno può essere influenzata da molti fattori socio demografici, come razza e/o etnia, nonché dallo stato socio economico (Ses)” e aveva analizzato “i fattori socio demografici comuni e Ses che possono portare a disturbi del sonno. Tra questi fattori ci sono il lavoro a turni, le cattive abitudini alimentari, il fumo e l’abuso di alcol”.

Nel 2021, un’analisi delle disparità socioeconomiche nel sonno e nella salute pubblicata nell’Annual Review of Public Health aveva mostrato come una quantità e una qualità inadeguata di sonno tra gli adulti a basso reddito e le minoranze razziali contribuisse a tassi più elevati di malattie, comprese le malattie cardiovascolari e la demenza, entrambe più comuni tra questi gruppi.

Uno studio citato dagli autori attribuisce più della metà delle differenze nei risultati di salute tra bianchi e neri a differenze nella quantità o nella qualità del sonno.

Sì, perché quando si parla di sonno si parla anche, e soprattutto, di salute. «Ci sono forti implicazioni nel dormire male: tutto, dall’aumento delle probabilità di contrarre il raffreddore alla compromissione della mortalità. Ci sono anche risultati educativi: i bambini che dormono male vanno meno bene a scuola», ha spiegato Groeger.

Un sonno scarso e poco regolare può aumentare il rischio di gravi condizioni mediche – tra cui obesità, malattie cardiache e diabete – e ridurre l’aspettativa di vita, oltre contribuire anche a problemi di salute mentale.

Al contrario, una ricerca ha scoperto che dormire bene e in maniera indisturbata potrebbe aiutare gli uomini ad aggiungere altri cinque anni alla loro vita. E le donne? Solo due anni, se le loro abitudini di riposo sono sane.

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