Diritti

Polonia: le donne pro-aborto contestano la polizia

Le cittadine polacche hanno protestato contro gli atteggiamenti discriminatori degli agenti per supportare Joanna, perquisita in ospedale dopo l’assunzione di una pillola abortiva
Una manifestante mentre tiene un cartello raffigurante il volto di Joanna
Una manifestante mentre tiene un cartello raffigurante il volto di Joanna Credit: Dominika Zarzycka/SOPA Images via ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
26 luglio 2023 Aggiornato alle 20:00

Centinaia di donne hanno protestato, martedì, di fronte alle stazioni di polizia di Varsavia e di altre città polacche, tra cui Cracovia, la città d’origine di Joanna. Il suo caso è diventato pubblico questa settimana, anche se risale alla fine di aprile: la donna ha raccontato ai media polacchi che, mentre si trovava in ospedale, la polizia l’ha circondata e ha perquisito i suoi effetti personali. Poco prima, Joanna aveva assunto una pillola abortiva perché temeva che la gravidanza potesse mettere in pericolo la sua salute.

Dopo aver preso il farmaco, la donna ha consultato la sua psicologa per l’ansia persistente che stava provando, riporta il quotidiano tedesco Deutsche Welle. La dottoressa, temendo che la paziente potesse avere intenzioni suicide, ha allertato i servizi di emergenza, che a loro volta hanno informato la polizia. Una volta ricoverata in un ospedale militare, nonostante Joanna negasse di aver pensato di togliersi la vita, gli agenti di polizia le hanno confiscato il computer portatile e le hanno chiesto di consegnare il cellulare. L’hanno circondata e monitorata, ostacolando le cure mediche nonostante le proteste del personale ospedaliero.

Gli agenti non hanno mollato la presa nemmeno quando la paziente è stata trasferita in un’altra clinica per ulteriori esami. 2 poliziotti hanno chiesto a Joanna di spogliarsi, accovacciarsi e tossire. In un’intervista rilasciata all’emittente polacca TVN la donna l’ha definita un’esperienza «umiliante». Ai giornalisti Joanna ha raccontato: «Stavo ancora sanguinando e mi sono rifiutata di togliermi le mutandine. Mi sono sentita impotente».

In Polonia, dal 2020, è in vigore un divieto di fatto dell’aborto, da quando la Corte costituzionale ha deciso di consentirlo solo in caso di stupro o incesto. Tuttavia, la pillola abortiva non è vietata e non è un reato punibile acquistare personalmente un farmaco abortivo e assumerlo. È illegale il favoreggiamento dell’aborto.

Nel caso di Joanna, la Procura di Stato ha avviato un’indagine, facendo riferimento all’articolo 152, sezione 2 del Codice penale, che stabilisce che chiunque aiuti o convinca una donna incinta a interrompere la gravidanza rischia una pena detentiva fino a 3 anni. A marzo un’attivista per i diritti delle donne è stata condannata per il reato di “aver contribuito a interrompere una gravidanza” per aver spedito delle pillole abortive a una donna che aveva cercato aiuto per ottenere un aborto. Il marito le ha scoperte e ha denunciato il caso alla polizia.

Joanna ha spiegato a TVN di aver comprato in autonomia la pillola abortiva, senza l’aiuto di nessuno. Secondo gli agenti, però, si è trattato di un crimine. Inoltre, i funzionari di polizia, riporta Associated Press, insistono anche sul fatto che la presenza degli ufficiali fosse obbligatoria e non oppressiva. Il comandante in capo della polizia Jaroslaw Szymczyk ha discolpato gli agenti: «La situazione drammatica in cui si è trovata Joanna non è stata colpa della polizia», ha dichiarato mentre era ospite di un programma radiofonico.

Secondo Szymczyk, tutte le misure messe in atto erano volte a «salvare ciò che è più prezioso, vale a dire la vita umana» e proteggere la donna e altri potenziali clienti di pillole abortive: la confisca del computer portatile e del telefono cellulare aveva lo scopo di aiutare a identificare chi aveva venduto la pillola abortiva ed escludere la possibilità che potesse avere conseguenze dannose per la salute. La richiesta alla paziente di spogliarsi davanti agli agenti sarebbe una «procedura standard» in casi che coinvolgono persone sospettate di volersi togliere la vita, perché servirebbe a cercare «strumenti o sostanze pericolose che potrebbero essere utilizzate a tale scopo», ha detto Szymczyk. Anche il ministro dell’Interno Mariusz Kamiński ha supportato la polizia, che meriterebbe “le scuse delle persone che cercano di approfittare politicamente di questa situazione”.

Il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, che è anche il Procuratore generale, ha ordinato un’indagine. Il più alto consiglio medico polacco (NIL) ha condannato il comportamento degli agenti e richiesto un’indagine: ha osservato che sì, i medici che sospettano che un paziente possa tentare il suicidio sono obbligati a segnalarlo ai servizi di emergenza, ma “allo stesso tempo, vorremmo sottolineare che ciò che è accaduto al paziente è una violazione dei suoi diritti all’intimità, alla riservatezza medica e all’ostacolo alla fornitura di assistenza al paziente”.

L’opposizione politica polacca ha chiesto le dimissioni del capo della polizia. Donald Tusk, leader del partito Platforma Obywatelska, ha commentato: «Joanna è stata umiliata. Ma non solo lei». Secondo Kamila Ferenc, vicedirettrice della Fondazione polacca per le donne e la pianificazione familiare (Federa) dal 2021 a gennaio 2023 sono morte almeno 3 donne che avrebbero dovuto sottoporsi a un aborto terapeutico. La causa era spesso lo shock settico.

A fine maggio c’è stata un’altra vittima: Dorota Lalik, 33 anni, è deceduta 3 giorni dopo il suo ricovero in ospedale perché, secondo il difensore civico polacco per i diritti dei pazienti, Bartłomiej Chmielowiec, i medici avrebbero dovuto informarla che la sua vita poteva essere salvata con un aborto.

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