Economia

Istat, benessere giovani: il 47% non è soddisfatto

Secondo il report annuale dell’Istituto di statistica, 4 milioni 870.000 under 34 non raggiungono il punteggio minimo in almeno 1 dei 5 domini considerati (tra istruzione, lavoro e coesione sociale)
Credit: John Diez
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19 luglio 2023 Aggiornato alle 15:00

Il report Istat 2023 rivela che quasi la metà dei giovani in Italia si trova in una condizione di deprivazione, ovvero mancanza di quei fattori che permettono di raggiungere il benessere della persona, soprattutto in ambito di istruzione e lavoro, coesione sociale e rapporto con il territorio. C’entra la spesa pubblica italiana rivolta alle nuove generazioni, più bassa rispetto a quella di altri Paesi europei dove l’invecchiamento demografico è vicino al nostro.

La ricerca, rivolta alla fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni, si basa sull’analisi di 5 domini: Istruzione e Lavoro, dove si valuta la partecipazione al mercato del lavoro e a percorsi educativi; Coesione sociale, dove si tiene conto della partecipazione sociale e politica e della fiducia nelle istituzioni; Salute, in cui si considerano la salute fisica e mentale e gli stili di vita; Benessere soggettivo, nel quale si valutano la soddisfazione per la propria vita, per il tempo libero e le prospettive future; Territorio, nel quale rientrano la soddisfazione per il contesto paesaggistico e ambientale in cui si vive e la difficoltà a raggiungere i servizi essenziali.

Secondo i dati raccolti, 47,1% dei giovani (pari a 4 milioni 870.000 persone) non raggiunge la soglia minima di soddisfazione in almeno 1 dei 5 domini e si trova pertanto in una condizione definita di deprivazione. Anche se in diminuzione rispetto al 2019, l’analisi segnala che i giovani più vulnerabili sono quelli che hanno tra i 25 e i 34 anni, soprattutto nel Mezzogiorno e con scarsa differenza di genere.

I più giovani, con età compresa tra i 18 e i 24 anni, presentano segnali di deprivazione minore, sebbene il loro grado di soddisfazione nei 5 domini non sia ancora tornato ai livelli più alti del periodo pre-Covid, al contrario di come accaduto per chi ha dai 25 anni in su. Per gli analisti, il motivo è che le generazioni più giovani risentono degli effetti negativi della pandemia in modo più intenso e duraturo.

A stare male, insomma, è una fascia piuttosto ampia di ragazzi e ragazze, penalizzati a livello sociale dall’iniquità di accesso alle opportunità educative, formative, culturali. In un Paese come l’Italia, dove l’ascensore sociale è bloccato, infatti, l’influenza dei contesti di appartenenza incide pesantemente sulla trasmissione delle condizioni di vita individuali tra generazioni. Non a caso, gli ultimi dati disponibili ci dicono che in Italia quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio povertà proviene da famiglie che erano in condizioni finanziarie precarie già quando loro erano piccoli.

Mentre 1,4 milioni di minori in Italia crescono in contesti di povertà assoluta, l’intervento scolastico potrebbe interrompere gli svantaggi strutturali e generazionali che colpiscono gli individui e la collettività, dice Istat. Ma gli investimenti su giovani e giovanissimi latitano. La spesa per la protezione sociale in Italia mostra, in particolare, un “netto sbilanciamento verso le funzioni rivolte a coprire i rischi delle generazioni adulte e anziane”.

In questo contesto, la spesa pubblica destinata all’istruzione è inferiore rispetto alla media europea (4,8%) e minore rispetto ad altre grandi economie Ue. Se il 4,1% del Pil dell’Italia va all’istruzione, la Francia spende il 5,2%, la Spagna il 4,6% e la Germania il 4,5%, nonostante quest’ultima abbia livelli di invecchiamento della popolazione pari o superiori a quelli italiani.

Intanto, quasi un quinto dei giovani tra i 15 e i 29 anni in Italia non lavora e non studia (il dato più elevato tra i Paesi europei dopo la Romania), e il loro numero cresce fino a un terzo in Sicilia. Mentre la forza lavoro costituita da ragazze e ragazzi si riduce di fronte alla crisi demografica, l’aumento recente dei tassi di occupazione per giovani e donne potrebbe tuttavia compensare la perdita prevista nel numero di occupati.

Per invertire la rotta però, sostiene il report, è imprescindibile “investire sul capitale umano” a partire dallo sviluppo dell’offerta educativa e formativa.

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