Culture

C’è un po’ di Italia nel Palestinian Heritage Museum

Come racconta il direttore Khaled Khatib, ad aiutare la crescita e il mantenimento di questo prestigioso luogo a Gerusalemme, è stata anche un’organizzazione del nostro Paese
A Palestinian woman wears traditional clothes during the opening ceremony of the Palestine Heritage Museum
A Palestinian woman wears traditional clothes during the opening ceremony of the Palestine Heritage Museum Credit: Mustafa Hassona / Anadolu Agency
Tempo di lettura 4 min lettura
9 luglio 2023 Aggiornato alle 08:00

Definire il Palestinian Heritage Museum di Gerusalemme è in realtà meno banale di quanto si possa immaginare dal nome.

Ad ampliare questa difficoltà è il direttore stesso, Khaled Khatib, che alla domanda: «cosa rende il museo peculiare?» risponde che peculiare non è l’aggettivo giusto ma che «il museo è unico per la sua collezione, locazione e storia».

Khaled Khatib è un ingegnere laureato a Manchester, che ha lavorato nell’ambito della preservazione e restaurazione della città vecchia di Gerusalemme e condotto ricerche legate a edifici storici e al patrimonio palestinese. Ha ottenuto la posizione che ricopre oggi nel 2011, dopo molti anni come consulente per lo stesso museo.

Attraverso il racconto della sua esperienza si possono analizzare uno per uno tutti gli aspetti che rendono unico il Palestinian Heritage Museum, a partire dalla sua storia.

L’edificio ha quasi 150 anni e originariamente era stato pensato come casa per una famiglia locale benestante. All’inizio degli anni ‘50 l’attivista Hind Husseini, nipote dei primi proprietari, lo ha adibito a orfanotrofio dove ha accolto 55 bambini palestinesi rimasti orfani dopo il massacro compiuto da combattenti sionisti a Deir Yassin, poco distante da Gerusalemme. Nel 1978 ha poi trasformato lo stabile in un museo, ai tempi in un solo piano, rispetto ai tre di oggi.

Ad aiutare lei e la successiva presidente a trovare fondi per l’apertura e il mantenimento del museo furono, oltre a singoli cittadini, alcuni Enti tra i quali l’italiana Istituzione Centro Nord-Sud, attiva nella provincia di Pisa e focalizzata su temi di politiche di immigrazione, intercultura e cooperazione allo sviluppo.

Questa realtà negli anni ha continuato a dare il proprio supporto a diverse iniziative ed era presenta anche nel 2012, quando si è svolta l’inaugurazione del museo nella sua forma attuale, seguita qualche mese dopo da quella del centro culturale Dar Isaaf Nashashibi, entrambe sotto il patrocinio del consolato generale italiano, insieme alle autorità pisane.

Il museo è situato a pochi metri di distanza dalla linea divisiva dell’armistizio del 1948 tra Gerusalemme Est e Gerusalemme Ovest e custodisce più di 1500 oggetti autentici ottenuti da una donazione dal Palestinian Folk Museum, più di 2000 oggetti provenienti da Ms Husseini, la fondatrice, e altri da contribuenti locali.

Quando fu fondato le difficoltà da fronteggiare erano carenza di fondi, di personale qualificato e restrizioni imposte dalle autorità locali. Secondo Khaled Khatib, 45 anni dopo nessuno di questi ostacoli è stato superato «ma facciamo del nostro meglio per controllarli in qualche modo. Idealmente, però, abbiamo bisogno di almeno altri tre membri dello staff impiegati a tempo pieno e un budget annuale fisso, in aggiunta alla necessità di fare dei passi nella direzione di rendere lo status legale del museo più solido e di ottenere un livello di indipendenza manageriale dall’organizzazione madre superiore».

Impegnato a cercare delle soluzioni a questi problemi c’è anche, ancora una volta, l’Istituzione Centro Nord-Sud. Il primo contatto tra le due realtà è avvenuto tra il 2009 e il 2010 attraverso un impiegato dell’organizzazione che aveva già lavorato a progetti di scala minore con Dar Tifel, l’organizzazione madre del museo.

Successivamente è stato coinvolto anche il consolato generale italiano situato a Gerusalemme. Questa collaborazione ha portato allo stanziamento di circa 350.000 euro da spendere in alcuni ambiti specifici. Il museo ha potuto, per esempio pagare dei lavori, limitati, di rinnovazione architettonica e una nuova fornitura di mobilio.

Con quei fondi sono stati organizzati anche corsi professionalizzanti per lo staff tenuti da un esperto di museologia italiano e due mostre dedicate al ricamo palestinese a Firenze e Pisa tra il 2013 e il 2014.

Per queste ultime, il museo ha dato in prestito una parte della sua collezione raggiungendo così un pubblico più vasto.

Questi traguardi non di poco conto vengono giudicati favorevolmente da Khaled Khatib, che commenta «in generale e per esperienza personale, ho sempre trovato il contributo italiano per i palestinesi molto positivo a tutti i livelli, soprattutto con organizzazioni non governative».

In seguito alle due mostre in Italia, il museo ha esibito i propri oggetti anche nel Museo Palestinese a Bir Zenit- a nord di Gerusalemme- nel 2017 e in Qatar nel 2022. La prossima tappa sarà il Regno Unito: il 7 luglio 2023 a Kettle’s Yard all’università di Cambridge il 23 novembre a Whitworth Gallery all’università di Manchester.

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