Ambiente

Gli attivisti contro la pizza di New York? Una fake news

Secondo il Post, 100 locali della Grande Mela dovranno modificare i forni a legna e a carbone perché inquinanti. Tutto vero: ma il clima non c’entra
Credit: Tamas Pap
Tempo di lettura 4 min lettura
29 giugno 2023 Aggiornato alle 12:00

C’è confusione a New York, e questa non è una novità. Ma se il caos è generato da una presunta crociata ambientalista contro le pizzerie che usano ancora forni a legno o a carbone, la notizia si fa più interessante.

Non solo perché tira in ballo un nostro prodotto nazionale che ormai fa parte anche della cultura culinaria americana: proprio il 27 giugno si è chiusa nella Grande Mela la più grande fiera del settore agroalimentare per il Nord America, il Summer Fancy food, con 300 espositori italiani. E i dati parlano di un mercato enorme: l’Italia rimane all’11° posto tra i principali Paesi fornitori degli Usa, con 207 miliardi di dollari di vendite di specialità al mondo della ristorazione e delle catene al dettaglio.

La polemica sulla pizza nasce da un articolo del New York Post intitolato Mamma mia! in cui si getta l’allarme per l’entrata in vigore di un provvedimento del Dipartimento per la protezione ambientale municipale che invita i proprietari di forni a legna e a carbone a ridurre le emissioni di carbonio fino al 75%.

“Tutti i newyorkesi meritano di respirare aria sana e le stufe a legna e a carbone sono tra i maggiori contributori di inquinanti nocivi nei quartieri con scarsa qualità dell’aria”, scrive il Post, riportando una dichiarazione del portavoce del Dipartimento Ted Timbers.

Apriti cielo: secondo il quotidiano, i ristoratori storici che usano ancora fieramente questi modelli di cottura della pizza perché la renderebbe più croccante sarebbero un centinaio in tutta la metropoli (tra i quali alcuni locali come Lombardi’s a Little Italy, Arturo’s a Soho, John’s di Bleecker Street nel Greenwich Village e Grimaldi’s vicino al ponte di Brooklyn). I forni installati prima del 2016 dovranno dotarsi di dispositivi di controllo delle emissioni, previa la valutazione di un ingegnere o di un architetto per vagliare la fattibilità dell’installazione, visto che in molti casi si tratta di strutture molto vecchie. La spesa potrebbe aggirarsi sui 20.000 dollari, denuncia un ristoratore al Post.

L’articolo è girato velocemente anche su altri siti di news americani soprattutto di destra, che hanno preso di mira gli estremisti green della pizza, gridando allo scandalo. Si è scomodato persino Elon Musk in un post su Twitter dicendo che questo è un “bullshit”, un eufemismo, e che il provvedimento non fermerà certo il cambiamento climatico.

Nella sua newsletter Heathed, l’attivista ambientalista Emily Atkin ricostruisce però il caso rimettendo ordine nel caos mediatico, soprattutto per sfatare le fake news legate alla vicenda.

Prima di tutto, scrive Atkin, questa legge è già in vigore. “È passato quasi un decennio da quando New York ha approvato la norma del 2015 che richiede una tecnologia di abbattimento delle emissioni sui forni commerciali a legna e a carbone costruiti dopo il 2016. Non è quindi stata spinta oggi dai Green New Dealers, come sostiene il comitato editoriale del Post”.

L‘attivista ha poi analizzato la questione “emissioni di carbonio”, spiegando che “nel testo effettivo della proposta di legge mai linkato dai media a pagina 2.967 del New York City Record di venerdì 23 giugno le parole “carbonio”, “emissioni di carbonio” e “cambiamento climatico” non compaiono mai. Al contrario, la proposta di legge afferma che le stufe a carbone e a legna coperte dalla norma devono ridurre le emissioni di particolato solo del 75%”.

La differenza non è da poco, spiega Atkin: l’inquinamento da particolato si riferisce alle piccole particelle presenti nello smog, nella fuliggine, nel fumo che possono penetrare nei polmoni e danneggiare la salute. L’inquinamento da carbonio si riferisce invece al gas serra che riscalda il Pianeta. Quindi: la norma non cerca di salvare il mondo dal cambiamento climatico, “ma sta cercando di fare in modo che i newyorkesi che vivono e lavorano vicino a forni per pizza altamente inquinanti non vengano colpiti tutto il giorno dai fumi”.

Non solo: anche a detta di un ristoratore intervistato dal Post che si è già adeguato alla normativa, “se qualcuno sta cercando di affermare che l’inserimento di un filtro nel forno cambia il sapore della pizza, sta solo cercando di risparmiare 20.000 dollari. Il nostro prodotto non è cambiato”.

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