Tra arte e natura: la mostra Terra animata approda a Roma
L’arte imita la natura, il che, affermava il filosofo greco Aristotele, presuppone un primato della natura.
Ma qual è e qual è stato il loro rapporto? Terra animata. Visioni tra arte e natura in Italia (1964-2023) è la mostra allestita negli spazi dell’ex Mattatoio di Roma – visitabile fino ad agosto - che ne indaga, con linguaggi diversi, visioni, prospettive e riflessioni attraverso le opere di artiste e artisti di diverse generazioni che raccontano gli enormi cambiamenti avvenuti in Italia negli ultimi 70 anni nella percezione del rapporto tra natura ed essere umano: dal radicale superamento dei confini tradizionali dell’opera d’arte, al paesaggio che diviene oggetto di pratiche artistiche specifiche.
L’esposizione, curata da Paola Bonani e Francesca Rachele Oppedisano e promossa da Roma Culture e Azienda Speciale Palaexpo, si apre con le opere significative di 2 maestri: il Concetto spaziale. Cratere (1968) di Lucio Fontana e il Cretto nero D (1971) di Alberto Burri, dando una visione duale della natura, l’uno di colore oro, come il grano, frutto e simbolo di fecondità della terra, l’altro di colore nero, spaccato, arido, come la terra in attesa di una nuova fertilità.
«Sono opere che tracciano 2 territori che gli artisti hanno abitato, soprattutto quelli delle ultime generazioni», spiegano le curatrici. «Temi come ruralità, sostenibilità sono ripensati all’interno di un’arte che non è solo più attivismo ma restituzione creativa di nuove consapevolezze legate all’idea che la terra abbia un’anima di cui tutti noi facciamo parte».
Una Terra animata, dunque, come l’opera realizzata nel 1967 dall’artista concettuale Luca Maria Patella e che da il titolo alla mostra.
Una land art sui generis, racchiusa in un video in 16 mm che riprende 3 personaggi intenti a misurare un grande terreno arato su cui si muovono con un nastro bianco con il senso di stabilire la relazione fisica dell’essere umano con l’ambiente, componente essenziale per la sua conoscenza.
Il percorso espositivo raccoglie dipinti, fotografie e installazioni di artiste e artisti che hanno fondato la loro pratica, in parallelo alla nascita del pensiero ecologista, sull’osservazione della natura, intesa come campo di ricerca e ritrovamento di una identità originaria (Pino Pascali), spazio da riattivare e da contemplare attraverso una ridefinizione estetica (Gianfranco Baruchello) o con cui identificarsi (Giuseppe Penone).
In altri casi, terra e paesaggio divengono luoghi di un immaginario puramente estetico e ludico, in grado di dischiudere visioni intense e paesaggi ideali (Mario Merz e Piero Gilardi), proiezioni oniriche e fiabesche (Giosetta Fioroni), poetiche e familiari (Giacinto Cerone).
E poi il contributo delle nuove generazioni che hanno della propria arte un impegno di risveglio che, come il video La Danza degli attrezzi di Nico Angiuli che si concentra sulle mutazioni paesaggistiche e sulle ricadute sociali che coinvolgono i rapporti tra migrazione, urbanizzazione del paesaggio, sfruttamento del corpo dei lavoratori agricoli, umanizzazione delle macchine e la meccanizzazione dei corpi.