(ANSA/ FABRIZIO ZANI)
Ambiente

Diario di un giorno da volontaria in Romagna

Questa è (anche) la storia di U., Giacomo e Martina che dalle zone alluvionate raccontano a La Svolta: «Servirà aiuto per settimane, probabilmente per mesi, sebbene i giornali ne parlino sempre meno»
di Caterina Tarquini
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 13 min lettura
12 giugno 2023 Aggiornato alle 20:00

Sono 3 settimane che U. si sveglia all’alba per recarsi in uno dei suoi 9 cantieri, tutti completamente allagati dall’alluvione: sta cercando di tirarli fuori dal fango, a uno a uno.

Alcuni giorni fa è stato trasportato d’urgenza in ospedale, sembrava avesse un attacco di cuore. Invece no, era solo lo stress: gli hanno raccomandato di trascorrere almeno 5 giorni a riposo, a casa. L’indomani era di nuovo a lavoro con alcuni operai e un pugno di volontari per tentare di salvare il salvabile.

«Siamo stanchi, non vediamo una fine», racconta a La Svolta. L’umidità penetra nelle ossa, quell’odore di melma rappresa, stantia, non si lava via neppure dopo una doccia. E il fango sembra rigenerarsi continuamente, sulle pareti, dagli angoli delle stanze, tra gli scaffali e gli oggetti irriconoscibili. «Neanche noi sappiamo più dare direttive precise ai volontari, siamo distrutti».

Hanno ricevuto un’auto spurgo – «Tra qualche giorno se lo riprenderanno, perché hanno altre emergenze» – e due idropulitrici. Cercano di sciogliere il fango ormai secco sparando acqua e poi lo spalano via dai garage, dai seminterrati e dai primi piani delle case in costruzione, tutti in quartieri non molto distanti dal fiume Lamone, che tra il 16 e il 17 maggio scorso ha rotto gli argini e ha esondato la città di Faenza, in provincia di Ravenna.

Una terra afflitta dall’emergenza

Una pioggia di oltre 500 millimetri, che si è riversata su parte dell’Emilia-Romagna e della Toscana. Dopo il primo episodio, il 2 maggio, che aveva già messo in serie difficoltà diversi centri abitanti, nuove piogge torrenziali hanno causato l’esondazione di ben 23 fiumi su un’area di circa 58 chilometri quadrati.

Sono oltre 42 le città tra la Romagna e il Bolognese finite sott’acqua. Agli allagamenti sono seguite circa 300 frane con 500 strade distrutte, la centrale elettrica e il pompaggio dell’acqua in tilt e un bilancio totale di 15 morti e decine di migliaia di sfollati.

Una quantità d’acqua pari a quella che cade ad Aosta in un anno intero, come ha chiosato sulle pagine dei giornali e in diretta tv il climatologo Luca Mercalli. Una concentrazione del genere ha mandato in crisi sia i letti dei fiumi, sia il suolo, tanto che hanno finito per staccarsi interi versanti sull’Appennino.

In certi punti del garage l’acqua arriva sopra le caviglie. Le donne raccolgono il fango con le pale e lo caricano sulle carriole: una volta riempite, gli uomini le trasportano sulla rampa e ammonticchiano la melma ai lati delle strade.

Le persone accorrono spontaneamente o U. le ferma mentre passano lungo la strada martoriata dove si trova il suo cantiere e non c’è bisogno di indicazioni: tutto procede secondo una tacita imitazione delle azioni altrui.

«Il danno peggiore riguarda gli scarichi delle docce e dei bagni otturati: occorre liberarli il più in fretta possibile», spiega U., mentre sposta delle pile di mattonelle da un box pieno di fango a uno già ripulito.

Lui e gli altri volontari ne prendono una alla volta, controllano se è rotta, scartano quelle spezzate a metà: se è ancora parzialmente intatta la ripuliscono dal fango, se ancora avvolta dal cartone, ormai diventato fanghiglia, buttano anche quello e poi la posizionano in un punto sgombro.

In effetti, è una corsa contro il tempo: “il più in fretta possibile” vuol dire “prima che piova di nuovo”. Dopo le mattonelle tocca alle assi di legno pregne d’acqua e divenute pesantissime: per quelle più grandi occorrono almeno due persone per trasportarle fuori dal garage.

«Dov’è l’esercito? – si chiede ad alta voce U., trattenendo a stento la rabbia – In una situazione del genere, con intere zone della città ancora in dissesto, non ci sono militari».

I tira acqua, gli spazzoloni, le vanghe e le carriole in cui ammassare fango o oggetti da recuperare non bastano per tutti. I volontari, almeno nel week-end, sono tanti: c’è chi arriva dalle città vicine, anche solo per un giorno, dai comuni in provincia di Ferrara, Parma o Bologna, molti dalla Toscana e dalle Marche, ma c’è addirittura chi si è mosso da lontano, dalla Sardegna e rimane per giorni e giorni a dare una mano. Nel gruppo spicca un ragazzo cinese: lavora in banca a Milano e non conosce una parola di italiano. Anche lui è arrivato in treno la mattina presto per aiutare.

Tutti i volontari si recano nei punti di ritrovo di Emergency o della Protezione Civile, che ricevono segnalazioni, richieste d’aiuto, indirizzi e nomi di strade in cui la situazione è ancora critica e smistano in gruppi le persone accorse con stivali, calosce, guanti impermeabili e pale. Alcuni vengono inviati in campagna, altri nelle zone urbane vicine al fiume.

Dopo le immagini strazianti del centro storico della cittadina attraversato da fiumi di fango e i filmati in cui si udivano distintamente le grida di aiuto degli abitanti, sentire il chiacchiericcio rilassato dei ragazzi seduti sulle scalinate del Duomo, La Cattedrale di San Pietro Apostolo, e vedere Piazza della Libertà percorsa da passanti in bicicletta e da volontari sporchi ma allegri sembra restituire alla città una parvenza di normalità.

Eppure, basta svoltare l’angolo per imbattersi in un’ auto spurgo o in una volante della polizia che fornisce comunicazioni sulla sicurezza ai cittadini attraverso un megafono; o ancora, in un gruppo di giovani imbrattati di fango che ripuliscono un vincolo che reca ancora i segni dell’alluvione. Su molti edifici resta visibile il punto in cui è arrivata l’acqua, che in certe zone ha toccato i 6 metri dal piano strada. Sui marciapiedi, di tanto in tanto, il fango è ammonticchiato e contenuto tra sponde e assi di legno piantate per terra.

Alle 13 si va in pausa pranzo. U. fa montare tutti sul retro del furgone per andare a mangiare da qualche parte. Faenza è divisa storicamente in rioni e, come spiega lui, proprio a giugno si sarebbe dovuto disputare il Palio della città: il cibo e gli spazi di ciascun rione, previsti per l’evento, sono messi a disposizione di sfollati e volontari.

È sufficiente presentarsi sporchi di fango per ricevere un pasto gratis. Al Rione Rosso, nella sede centrale in Via Campidori, c’è un cortile occupato da tavolate di volontari: un conglomerato di provenienze e dialetti diversi. Ogni tanto scoppia una risata, si sente un brindisi, qualcuno tira in ballo il tifo calcistico.

Il palazzo ospitava anticamente il Convento delle Suore di Santa Chiara, convertito dopo il Risorgimento in ospedale militare e andato poi quasi completamente distrutto durante il Secondo Conflitto Mondiale.

«Ci sono chiese e centri sociali che offrono ospitalità per la notte. Basta portarsi dietro un sacco a pelo – spiega Giacomo, che ha guidato il suo furgone dall’Alto Adige fino a Faenza – È la seconda volta: la prima avevo raccolto circa 800 euro di cibo, acqua, pale, secchi, vestiti e tutto quello con cui amici e conoscenti desideravano contribuire. Stavolta sono sceso munito solo di forza di volontà, ma non è poco. Servirà aiuto per settimane, probabilmente per mesi, sebbene i giornali ne parlino sempre meno».

Anche per Martina, questa è la seconda volta come volontaria a Faenza. Arriva da molto più vicino, da Cento in provincia di Ferrara. Anche lei è voluta tornare a distanza di una settimana. «La prima volta sono venuta con un gruppo di amici tramite l’Associazione Girasole di Pieve di Cento, che aveva dei contatti sul luogo e che ci ha indicato dove intervenire (stavolta tramite Volontari SOS). Abbiamo visto zone veramente colpite, case ancora invase da fango fresco, che superava il ginocchio. Su Via Renaccio abbiamo aiutato i padroni di casa a ripulire le stanze della loro abitazione».

«Queste persone hanno perso tutto e sorridono. È un sorriso che mi rimarrà dentro per tutta la vita», dice Giacomo. «Durante il turno abbiamo incontrato un gruppo di ragazze che festeggiavano un addio al nubilato, – ricorda invece Martina – Ci hanno offerto panini e bibite: è stato un momento piacevole, di solidarietà».

Dopo la pausa pranzo si torna a lavoro, almeno fino alle 17: la fatica comincia a farsi sentire, i movimenti sono più lenti e stanchi. U. mentre si continua a spalare nel suo garage, porta il termos con il caffè e si avvicina a ognuno per offrirlo. I volontari accettano di buon grado, si sfilano i guanti e bevono dal bicchierino in plastica che lui porge loro. Alla fine, qualcuno propone una foto ricordo. Chissà quante ne sono state scattate, dall’alluvione a oggi, per ogni casa, negozio o garage liberato dal fango, immagini simili con volti sempre diversi, un po’ sporchi, e persone che probabilmente non si incontreranno più, dopo aver condiviso quell’unica giornata di fatica.

Come funziona l’app dei volontari

C’è chi si mobilita in autonomia, chi tramite associazioni, chi invece utilizza le chat di Telegram per organizzare viaggi in macchina, raccogliere attrezzature e recarsi nelle zone ancora in difficoltà.

Su Facebook, il gruppo ALLUVIONE EMILIA ROMAGNA - offerta/richieste aiuti per la popolazione contiene post di ogni genere: qualcuno scrive di voler donare vestiti o addirittura interi arredamenti che altrimenti verrebbero buttati, una cucina, un salotto, un divano, una televisione, un letto.

Qualcun altro chiede aiuto per la nonna centenaria con l’appartamento al piano terra andato distrutto, che ha bisogno di una sedia alzapersona.

«Io sono originario di Cesena e quando si è avuta notizia dell’alluvione, ero a Milano e ho sentito il bisogno di fare qualcosa», racconta Fabio Zaffagnini. Di idee brillanti nella vita ne ha avute diverse. Tra queste c’è Volontari SOS, messa in piedi nel giro di una notte per coordinare i volontari sul territorio dell’Emilia Romagna e adottata da ben 18 comuni: a oggi conta oltre 50.000 iscritti.

Dopo alcuni anni, spesi come geologo oceanografico e ricercatore del Cnr (Consiglio Nazionale delle Richerche) «mi ero rotto del mal di mare» – in un primo momento Zaffagnini si è dedicato con un amico alla creazione del progetto Trail Me Up, “una specie di google street view dei sentieri inaccessibili”, un servizio online che consente di visitare virtualmente percorsi raggiungibili solamente a piedi, attraverso una successione di fotografie a 360° raccolte attraverso una telecamerina montata all’interno dello zaino. «L’idea era essere pagati per visitare posti fighissimi, ma non si guadagnava praticamente niente».

Poi, nel 2014 ha messo a frutto la sua altra, grande passione, oltre alle startup, la scienza e i viaggi all’avventura: la musica. Rockin’1000 è un’iniziativa nata in un primo momento per attirare l’attenzione della band statunitense dei Foo Fighters e spingerla a tenere un concerto nella sua città natale, Cesena. Così nel luglio del 2015, 1.000 musicisti, formando la più grande band del mondo, hanno suonato per la prima volta tutti insieme Learn to Fly, storico brano della band di Seattle. Il video, diventato nel giro di poco virale, ha ottenuto 57 milioni di visualizzazioni.

Da allora Rockin’1000 è andato in giro per il mondo, radunando appassionati di musica e di rock e collezionando esibizioni su palcoscenici importanti: dall’ Artemio Franchi di Firenze allo Stade de France a Saint Denis, dal Commerzbank-Arena di Francoforte all’Aeroporto di Milano-Linate e all’Allianz Parque a San Paolo. «Ad ogni concerto, i componenti di questa enorme band cambiano. Provengono da tutto il mondo e svolgono i lavori più disparati. Oggi la community di Rockin’1000 conta oltre 70.000 musicisti di 180 nazionalità differenti. È questo il bello: l’ingegnere accanto al parrucchiere, il barista vicino al professore. Non serve avere un talento straordinario, solo la passione per la musica rock. Se dall’esterno fa un certo effetto vedere tutte queste persone suonare e cantare all’unisono, da dentro la scarica di adrenalina è pazzesca».

Tornando a Volontari SOS: «Mi sono attaccato al pc quella notte ed è bastato duplicare l’app che abbiamo per organizzare gli eventi di Rockin’1000, mantenendo lo stesso sistema di prenotazione, ma modificando le categorie: una sorta di “booking del volontariato”. Per rendere più semplice l’attività alle amministrazioni locali mi sono limitato a inserire le località, le attività necessarie – (pulizia strade e immobili, trasporto cibi e beni di prima necessità, smistamento e donazione) – gli orari dei turni e il punto di ritrovo in cui ricevere le istruzioni opportune su come procedere».

Una volta registrati sulla piattaforma, inserendo dati anagrafici, codice fiscale e indirizzo email, si può selezionare il luogo in cui si intende andare e l’aiuto che si vuole fornire. «Credo che il successo dell’idea dipenda proprio dalla sua semplicità. In un momento d’emergenza serve qualcosa di immediato, facile da utilizzare».

Non si tratta dell’app della Protezione Civile, ma di una piattaforma che intende affiancarne l’intervento.

«Per il resto, ho cercato di risolvere piccoli bug informatici che mano a mano si sono presentati e di soddisfare qualche richiesta da parte delle amministrazioni che usufruiscono dell’app».

Dopo il concerto a Madrid e quello a Roma - lo special guest della serata, Rkomi, ha cantato insieme alla band alcuni dei suoi successi, Insuperabile e Partire da te, e la cover de Il tempo di morire di Lucio Battisti - presso lo Stadio dei Marmi, sponsorizzato da Aperol Spritz, che ha devoluto 150.000 euro alla Protezione Civile impegnata in Romagna nelle zone alluvionate, il prossimo concerto sarà proprio a Cesena. «Una bellissima occasione per tornare a suonare a Cesena, perché credo che un evento per la Romagna debba svolgersi in Romagna».

L’alluvione a Cesena

L’ultima tappa del nostro viaggio è proprio a Cesena. Loriana abita al terzo piano di un palazzo in una delle strade più vicine al fiume Savio, che scorre in pieno centro urbano a Cesena.

«Avevamo ricevuto un’allerta meteo in effetti, ma molti pensavano fosse un’esagerazione chiudere le scuole e sgomberare i garage e i seminterrati. Stando nella parte più elevata della via, abbiamo visto progressivamente salire il livello dell’acqua, a 2 metri, poi a 2 metri e 60 e poi di altri 10 centimetri. A quel punto è andata via l’elettricità, non potevamo caricare i cellulari e eravamo bloccati in casa: non potevamo uscire, con il primo piano evacuato per allagamento e quando finalmente abbiamo potuto, non c’era più nulla nei negozi, nelle farmacie e nei supermercati di cui fare rifornimento. Avevano esaurito le scorte di qualsiasi cosa».

Loriana sospira. «Per me è stato come vivere in uno stato di sospensione: tutto sommato ci sentivamo abbastanza al sicuro, circondati da forze dell’ordine, elicotteri e mezzi anfibi pronti ad accorrere per aiutarci, ma per 3 giorni abbiamo vissuto in attesa che qualcosa accadesse. Quando ci hanno consentito di scendere in garage, le idrovore avevano fatto un grande lavoro: erano rimasti circa 40 centimetri d’acqua».

Quei 40 centimetri di fango nel garage senza luce, le ombre degli inquilini del palazzo che si muovevano nell’oscurità – «all’inizio quasi nessuno era attrezzato con torce frontali» – e lo scrosciare incessante dell’acqua increspata dai loro spostamenti a Loriana ricordano un girone dell’inferno dantesco.

«Abbiamo stretto i rapporti di vicinato: in una città come Cesena, per quanto piccola, è difficile entrare in confidenza. Si hanno orari diversi spesso e a malapena ci si incontra sulle rampe delle scale o sul portone. In questi giorni, ci siamo supportati a vicenda, chi è stato più fortunato ha aiutato chi ha perso di più, anche buttando gli oggetti danneggiati dall’alluvione. Disfarsi di oggetti cari e di ricordi di famiglia è una cosa dolorosa».

Per i danni si vedrà. «Niente assicurazioni contro eventi climatici estremi ovviamente. Il comune ci ha fornito dei moduli: metterà a disposizione una quota mensile per le famiglie in difficoltà, in settimana verranno i periti per quantificare i danni».

Alla domanda se abbia timore che un evento del genere si ripeta in futuro, Loriana non ha dubbi. «Abito qui da 20 anni. Abbiamo avuto esondazioni di questa portata nel 2004 e nel 2009, ma era bastato alzare e fortificare gli argini del fiume per evitare altri episodi di questo tipo. A breve dubito possa riaccadere, ma ci dobbiamo abituare: queste piogge eccezionali saranno sempre più frequenti e occorre attrezzarsi».

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