Diritti

Hong Kong, 4 anni dopo le proteste

Nel 2019, 1 milione di hongkonghesi hanno manifestato contro l’influenza cinese (più di 10.000 arresti). Oggi molti cittadini sono ancora in attesa di processo: in carcere vengono educati alla “deradicalizzazione”
Credit: May James/SOPA Images via ZUMA Wire
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26 aprile 2023 Aggiornato alle 14:00

Iniziate nel marzo 2019, prima contro la legge riguardo l’estradizione e poi contro quella relativa alla sicurezza nazionale, le manifestazioni per la democrazia a Hong Kong hanno portato all’arresto di migliaia di persone, tra cui molti giovani, che oggi si trovano in carcere in attesa di processo.

4 anni fa, riporta Hong Kong Free Press, oltre 1 milione di manifestanti è sceso in piazza per protestare contro l’ingerenza cinese nel Paese. Dei 10.278 arrestati, 4.010 erano studenti e oltre 1.000 tra loro sono stati processati per aver preso parte ai disordini, ma anche per accuse di sommossa, terrorismo e di istigazione alla secessione. Al momento dell’arresto, il 10% era minorenne e ha ricevuto pene dai 2 ai 4 anni di reclusione.

Altre persone accusate in seguito al cosiddetto assedio del PolyU (il politecnico di Hong Kong occupato nel 2019 soprattutto da universitari partecipanti alle proteste) sono ancora in attesa di processo: per alcuni di loro dovrebbe iniziare non prima di novembre 2023.

In carcere i giovani manifestanti hanno affrontato un programma di rieducazione introdotto dal Dipartimento dei servizi penitenziari, mirato alla “deradicalizzazione” e alla riduzione delle probabilità di recidiva. Oltre all’insegnamento della storia e delle tradizioni cinesi, il programma include anche un modulo specifico dedicato alla promozione del rispetto della legge sulla sicurezza nazionale (Nsl), che criminalizza qualsiasi atto di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze esterne, dando alla Repubblica popolare cinese il potere di interpretare la legge con priorità rispetto a Hong Kong.

Proprio l’attuazione della Nsl nel 2020, secondo l’organizzazione non governativa Freedom House, avrebbe progressivamente ridotto le libertà democratiche nel Paese, favorendo l’arresto di avversari politici del Governo, la chiusura di partiti politici, il controllo dei candidati e l’influenza di Pechino sul sistema elettorale. Testate giornalistiche indipendenti, come Apple Daily e Stand News, hanno inoltre ricevuto condanne e azioni repressive: 12 sono state costrette a chiudere, così come sindacati e ong.

Nel suo ultimo report, Reporters Sans Frontiers (Rsf) ha valutato che la libertà di stampa a Hong Kong è peggiorata in modo significativo, scivolando dal 68° al 148° posto: «È la più grande caduta registrata nel 2021, ma è pienamente meritata a causa dei continui attacchi alla libertà di stampa e della lenta scomparsa dello stato di diritto a Hong Kong», ha dichiarato Cedric Alviani, capo del dipartimento dell’Asia orientale di Rsf.

Centinaia di giornalisti hanno però deciso di fuggire e continuare il proprio lavoro altrove. Ex reporter di Apple Daily, a esempio, lavorano da Australia, Canada e Regno Unito alla nuova testata The Points che pubblica in cinese e si propone di dar voce alla diaspora che negli ultimi anni sta affrontando chi fugge dalla repressione dei diritti civili in corso a Hong Kong.

La cappa di repressione, secondo il sondaggio pubblicato nel 2022 dalla Chinese University of Hong Kong, è percepita anche dalla popolazione: la fiducia dei cittadini nella credibilità dei media del Paese ha raggiunto il minimo storico rispetto agli ultimi 2 decenni. Solo il 28% degli intervistati si è detto infatti soddisfatto del livello di libertà di stampa, la percentuale più bassa dall’inizio delle registrazioni nel settembre 1997.

Gli effetti della censura governativa, diventata più aggressiva a seguito delle proteste del 2019, non hanno però del tutto scoraggiato la società civile, che ha scelto di non abbandonare i manifestanti dietro le sbarre. Dopo la chiusura di importanti associazioni pro-democratiche, alcuni gruppi informali hanno intrapreso azioni a sostegno dei detenuti, fornendo beni di prima necessità e facendo raccolta fondi. Alcuni di loro hanno anche attivato un programma di scrittura di lettere per offrire supporto emotivo a chi è in carcere.

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