Ambiente

I ricchi collezionano piscine, i poveri non hanno di che lavarsi

Lo studio dell’University of Reading racconta come andrebbe rivista, a livello mondiale, la condivisione dell’acqua. Le 80 città più abbienti ne consumano tantissima, rispetto alle altre
Credit: Jon Tyson
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12 aprile 2023 Aggiornato alle 07:00

La scorsa estate, quando gli effetti della siccità in tutta Europa hanno costretto diversi Paesi a rivedere le proprie politiche di risparmio idrico, a molti cittadini è stata indicata come restrizione l’impossibilità di irrigare il giardino, lavare la macchina o riempire la piscina.

Limitazioni necessarie - come avvenuto anche in Italia - per risparmiare il nostro bene più prezioso e sempre più raro, l’acqua. Un bene che però non è equamente distribuito: anche laddove è presente, l’uso e soprattutto l’abuso di acqua, rimarca differenze sociali, per esempio fra chi la sfrutta semplicemente per riempire una piscina e chi invece ne ha necessità semplicemente per sopravvivere.

Queste differenze, soprattutto tra persone ricche e meno abbienti, sono al centro di un nuovo studio dell’University of Reading nel Regno Unito, che svela come anche le piscine, i giardini irrigati ogni giorno o le auto sempre pulite siano fattori che guidano le crisi idriche nelle metropoli, tanto quanto gli impatti della crisi climatica o l’aumento della popolazione.

Per gli esperti - a livello mondiale - la grande differenza nell’uso dell’acqua tra cittadini ricchi e poveri è stata ampiamente trascurata nella ricerca di soluzioni alla scarsità d’acqua, concentrandosi invece sui tentativi di aumentare l’offerta oppure su prezzi più alti per l’acqua e sostengono che l’unico modo per proteggere le riserve idriche è ridistribuire le risorse idriche in modo più equo.

Come caso studio è stata presa Città del Capo in Sudafrica: qui le persone più ricche consumavano circa 50 volte più acqua di quelle più povere. Poi, quando nel 2018 il Paese ha attraversato una crisi idrica devastante dopo anni di siccità, i residenti meno abbienti sono rimasti senz’acqua perfino per i bisogni primari.

La stessa cosa, secondo gli esperti, vale per molte altre realtà, almeno 80 grandi città che hanno sperimentato siccità e crisi delle risorse idriche e dove sono evidenti le disuguaglianze sociali legate all’oro blu.

Fra queste per esempio Londra, Miami, Barcellona, Pechino, Tokyo, Melbourne, Istanbul, Cairo, Mosca, Bangalore, Chennai, Jakarta, Sydney, Maputo, Harare, San Paolo, Città del Messico e Roma.

Secondo diversi studi nel 2030 la domanda di acqua a livello globale supererà l’offerta di quasi il 40%.

Di conseguenza 1 miliardo di persone nelle città dovranno affrontare - con l’aumento della siccità legato al surriscaldamento globale - crisi idriche più frequenti e carenze d’acqua per i propri bisogni.

Viene logico pensare che usare la poca acqua rimasta per riempire piscine, oppure per tenere i giardini sempre verdi o ancora per lavare costantemente l’auto, diventerà un lusso che non farà che aumentare le disuguaglianze, a meno che non si pongano dei freni.

Secondo Hannah Cloke dell’University of Reading «il cambiamento climatico e la crescita della popolazione significano che l’acqua sta diventando una risorsa più preziosa nelle grandi città, ma abbiamo dimostrato che la disuguaglianza sociale è il problema più grande per le persone più povere che hanno accesso all’acqua per le loro necessità quotidiane. Le nostre proiezioni mostrano che questa crisi potrebbe peggiorare man mano che il divario tra ricchi e poveri si allarga in molte parti del mondo. Alla fine, tutti ne pagheranno le conseguenze a meno che non sviluppiamo modi più equi per condividere l’acqua nelle città», afferma una delle autrici dello studio pubblicato su Nature Sustainability.

Proprio l’analisi dell’università britannica mostra per esempio come a Cape Town i ricchi – circa il 14% della popolazione della città – utilizzavano il 51% di tutta l’acqua consumata in città soprattutto per bisogni non primari, mentre i poveri – almeno 62% della popolazione - soltanto il 27% e per necessità di base.

Questo indica non solo che l’impatto dei ricchi sulla disponibilità complessiva di acqua può essere persino più impattante rispetto ai cambiamenti nella popolazione o alla siccità legata alla crisi climatica, ma anche che l’aumento dell’uso di pozzi privati da parte dei “paperoni” ha sostanzialmente impoverito le risorse di acque sotterranee.

Anche secondo la professoressa italiana Mariana Mazzucato, dell’University College di Londra - autrice del rapporto della Global Commission on the Economics of Water - «abbiamo bisogno di un approccio al bene comune molto più proattivo e ambizioso. Dobbiamo mettere al centro giustizia ed equità, non è solo un problema tecnologico o finanziario», sostiene parlando di carenza idrica. Gli esperti concordano che è tempo di trovare una quadra su come la società dovrebbe condividere la risorsa naturale più importante in modo che possa essere a disposizione di più persone possibili. Il futuro dell’acqua, dipende anche da come scegliamo di condividerla.

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