Diritti

L’India riconoscerà i matrimoni omosessuali?

Il Governo si è opposto, mentre la Corte Suprema ha passato il caso alla Corte Costituzionale. Il Paese potrebbe diventare il secondo in Asia ad ammettere le unioni tra persone dello stesso sesso
Rainbow Pride March in Kolkata
Rainbow Pride March in Kolkata Credit: EPA/PIYAL ADHIKARY
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 marzo 2023 Aggiornato alle 18:20

L’India potrebbe diventare la seconda giurisdizione asiatica a riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso. Dipende da quale decisione prenderà la Corte Costituzionale il 18 aprile, quando ascolterà le istanze e stabilirà se il riconoscimento del matrimonio omosessuale è valido secondo la Costituzione indiana. Diverse coppie hanno chiesto alla Corte Suprema di legalizzare il matrimonio tra persone Lgbt, ma il governo si è opposto - rivela Reuters, che domenica ha consultato un deposito presentato alla Corte Suprema - e ha esortato il più alto organo giurisdizionale a fare altrettanto. La palla ora passa al collegio composto da 5 giudici.

«Sarebbe opportuno che le questioni sollevate fossero risolte da un collegio di 5 giudici di questa corte», ha detto il presidente della Corte Suprema indiana Dhananjaya Y. Chandrachud mentre dettava l’ordine. Il procedimento verrà trasmesso in streaming tra poco più di un mese. Niharika Karanjawala, avvocata che rappresenta una delle coppie, ha dichiarato: «Siamo molto lieti che la questione sia passata a un tribunale costituzionale poiché la consideriamo una questione di diritti costituzionali fondamentali». Negli ultimi mesi, almeno 15 ricorsi, alcuni presentati da coppie di persone omosessuali, sono stati depositati per chiedere il riconoscimento di queste unioni.

I diritti Lgbtq in India si sono ampliati negli ultimi anni: nella sentenza storica del 2014 la Corte Suprema ha consentito alle persone transgender di identificarsi come “terzo genere”, ordinando ai Governi centrale e statale di concedere loro pieno riconoscimento legale; nel 2017 la privacy è stata dichiarata un diritto fondamentale e l’orientamento sessuale è stato definito un “attributo essenziale della privacy”. Un anno dopo, un verdetto ha annullato una legge dell’era coloniale che vietava il sesso tra persone omosessuali, depenalizzando la pratica (il Governo si era però astenuto dal prendere qualsiasi posizione in tribunale). E nel 2022 la Corte ha stabilito che i partner non sposati o le coppie dello stesso sesso hanno diritto a prestazioni assistenziali. Se passasse anche questa norma, l’India diventerebbe il secondo Paese asiatico (dopo Taiwan) a consentire il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Ma il Governo conservatore guidato dal primo ministro nazionalista indù Narendra Modi non sembra volersi muovere in questo senso. Secondo Reuters, il ministero della Giustizia ritiene che nella società possono esserci varie forme di relazione, ma il riconoscimento legale del matrimonio è un concetto che dovrebbe rimanere riservato solo alle relazioni eterosessuali e lo Stato ha un legittimo interesse a mantenerlo.

«Vivere insieme come partner e avere rapporti sessuali tra individui dello stesso sesso… non è paragonabile al concetto di unità familiare indiana di marito, moglie e figli», avrebbe affermato il ministero in una dichiarazione al tribunale. Cambiare la norma vigente significherebbe «cambiare l’intera politica legislativa del Paese, profondamente radicata nelle norme religiose e sociali». Il Governo, riporta Bloomberg, avrebbe anche dichiarato che il matrimonio è accertato «dalla legge, religiosamente e socialmente» solo tra un uomo biologico e una donna biologica, e qualsiasi variazione dev’essere votata dai legislatori e non dai tribunali.

Se la Corte Costituzionale dovesse riconoscere le unioni arcobaleno diventerebbe il 33° Paese a farlo, secondo Human Rights Campaign. Inoltre, una sentenza a favore della legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso raddoppierebbe il numero di persone con diritti di uguaglianza matrimoniale a livello globale, estendendo le tutele a 1,4 miliardi di indiani.

Il caso dell’India è seguito con attenzione da numerosi Paesi in cui stanno prendendo piede dibattiti simili, tra cui la Thailandia, la Grecia, il Giappone e la Corea del Sud.

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