Ambiente

Piccole, lontane. E supergreen

Dall’Irlanda alla Grecia, le comunità insulari sono spesso pioniere della sostenibilità. Ma sono modelli applicabili sul Continente?
Credit: Brian Kelly
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
2 febbraio 2022 Aggiornato alle 17:00

Fuggire su un’isoletta sperduta è un desiderio che attraversa la mente di molti, sopraffatti dalla frenesia delle metropoli continentali. Se poi oltre ai benefici derivanti dal vivere in una piccola comunità, con ritmi più rilassati e a stretto contatto con la natura, l’isola in questione è a emissioni zero, anche meglio.

Il riferimento è a quei lembi di terra emersa che già da qualche anno sono votati alla sostenibilità: si tratta di eco-isole, sparse per tutto il globo. Al largo della costa settentrionale dell’Irlanda del Nord, per esempio, le gelide acque dell’Atlantico si infrangono su un’isola piccolissima a forma di L, chiamata Rathlin. La rete elettrica, lì, è stata istallata nei primi anni ’90 grazie alla costruzione di tre turbine eoliche. Sino a quel momento, i 160 abitanti di notte non potevano far altro che servirsi di candele.

Le turbine, invece, hanno consentito, almeno sino al 2000, di sfruttare la forza del vento, che flagella implacabile la lingua di terra di Rathlin. Poi, sono cadute in rovina. A quel punto, l’isoletta è stata collegata alla principale rete elettrica dell’Irlanda del Nord, ma gli abitanti sperano di poter tornare ben presto all’energia eolica. Michael Cecil, presidente della Rathlin Development and Community Association e altri isolani stanno progettando l’allestimento di una nuova turbina, con una capacità di circa 3000 kilowatt, sufficiente ad alimentare circa 100 case del piccolo centro e stanno incoraggiando l’impiego di veicoli meno inquinanti, come le bici elettriche. Entro il 2030, la comunità vorrebbe divenire totalmente green, come altre dozzine di piccole isole in tutto il mondo che hanno abbracciato uno stile di vita sostenibile, dotandosi di fonti di energia rinnovabile e veicoli elettrici.

Tra questi esempi virtuosi, c’è l’isola di Samsø in Danimarca, che ospita circa 4.000 persone. “Non ci piaceva l’idea che qualcuno sfruttasse il nostro vento” spiega Søren Hermansen, amministratore delegato della Samsø Energy Academy. Intorno ai primi anni del nuovo millennio, gli isolani hanno raccolto cospicui fondi, in parte attraverso un prestito bancario, da investire nella costruzione di 11 turbine eoliche: oggi, Samsø rivende l’energia in esubero alla rete elettrica nazionale. Anche la paglia di scarto delle fattorie dell’isola, un’altra risorsa rinnovabile, viene bruciata per fornire riscaldamento a diversi villaggi. Queste scelte collettive hanno un duplice effetto positivo: oltre a ridurre le emissioni di carbonio, forniscono ulteriori posti di lavoro locali e migliorando la qualità della vita dei residenti, incentivano il ripopolamento dell’isola. Il governo scozzese, invece, punta a rendere molte delle sue isole carbon neutral entro la fine del decennio.

Vi è, poi, Tilos, un’isola della Grecia che conta circa 500 persone, che è divenuta autosufficiente dal punto di vista energetico lo scorso anno grazie sia all’energia eolica e solare, sia alla tecnologia di particolari batterie in grado di immagazzinare il surplus di energia prodotta. “Vogliamo che Tilos sia il faro per altre isole europee. Se una piccola isola come noi ce l’ha fatta, allora si può fare” dichiara Maria Kamma-Aliferi, sindaco dell’isola. Ora il prossimo obiettivo è lo zero waste.

In Europa, ma non solo, esistono miriadi di progetti simili. È stato persino istituito il Segretariato Energia pulita per le isole dell’UE, che sostiene tali iniziative, mentre la Commissione europea spende miliardi di euro in schemi di energia rinnovabile nelle isole del Continente.

Ma non tutti sono convinti che puntare sulle autonomie locali sia la strada giusta. Già nel 2017, Adam Grydehøj della South China University of Technology, coautore di un articolo critico sul tema, descriveva la corsa alla creazione di eco-isole come una “trappola”, che non deve distogliere la comunità internazionale dall’adozione di decisioni su scala mondiale. In particolare, affermava che, sebbene a volte rappresentino utili banchi di prova per la clean tecnology, le iniziative delle eco-isole non hanno altro che un valore simbolico. Ovviamente, molte soluzioni che consentono a una piccola realtà di convertirsi alla green economy potrebbero non essere applicabili altrove, nei centri urbani densamente popolati che, in confronto, necessitano di enormi risorse energetiche. “L’autosufficienza localizzata non contribuisce necessariamente molto alla sostenibilità globale” scrivono gli autori. Lo dimostrano i numeri: poche decine di migliaia di persone, concentrate in determinate località, a fronte di miliardi di esseri umani su tutto il pianeta. Si tratta, in sostanza, di microcosmi ecologici, autosufficienti sul piano energetico, dei fulgidi esempi, dove sperimentare un modello di vita improntato al pieno rispetto della natura, ma probabilmente sono solo un punto di partenza. E devono esserlo.

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