Diritti

A un anno dal golpe, in Birmania solo scioperi silenziosi

Il 1° febbraio 2021 l’esercito prendeva il potere con un colpo di Stato. Oggi, la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi è ancora in carcere, le violenze su civili e bambini continuano. E i militari hanno vietato gli slogan durante le manifestazioni
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1 febbraio 2022 Aggiornato alle 14:20

Un anno fa l’esercito birmano prendeva il potere con un colpo di Stato. Le immagini delle violenze, degli sfollati, dell’arresto di Aung San Suu Kyi per importazione illegale di walkie-talkie, hanno fatto il giro del mondo. Ma non è stato abbastanza per riportare lo Stato a una normalità, ormai lontana.

All’alba del primo anniversario, gli oppositori della giunta militare hanno chiesto scioperi silenziosi. Gli abitanti dei villaggi della regione di Sagaing, nel centro del Paese, sono scesi in strada all’alba e si sono fermati, senza parlare, per protestare e ricordare la fine della democrazia. Altri si sono seduti facendo il saluto con 3 dita in segno di resistenza, e gli studenti di Yangon, la città più grande del Sud, hanno esposto degli striscioni contro la dittatura. Anche a dicembre, gli scioperi hanno svuotato le strade del Myanmar, messo in ginocchio dai militari. «Continueremo a sfidare il regime con ogni mezzo possibile. L’esercito non è il nostro governo legittimo», ha scritto un oppositore su Twitter.

Un’intera leadership civile agli arresti, leggi d’emergenza e censure: il 1° febbraio di un anno fa il generale Min Aung Hlaing comunicava la formazione di una giunta militare e la necessità di porre sotto il suo controllo il Paese. La democrazia guidata da Aung San Suu Kyi voluta dalle giovani generazioni, si sgretolava con il controllo della polizia armata, e quello dei militari con cariche e azioni intimidatorie.

«Chiediamo ancora una volta l’immediata cessazione della violenza e un dialogo costruttivo tra tutte le parti per risolvere pacificamente la crisi» si legge in una dichiarazione dell’Alto rappresentante a nome dell’Unione europea e altri Stati occidentali in occasione del primo anniversario del colpo di stato. «Ribadiamo il nostro appello al regime militare a porre fine immediatamente allo stato di emergenza, consentire l’accesso umanitario senza ostacoli, rilasciare tutte le persone detenute arbitrariamente, compresi gli stranieri, e riportare rapidamente il Paese a un processo democratico».

Mentre Aung San Suu Kyi, 76 anni, dovrà scontare 4 anni di carcere per quel capo di accusa che ha fatto indignare il mondo, senza che nessuna azione concreta sia stata davvero mai intrapresa. Perché in Birmania si va in carcere per importazione illegale di walkie-talkie, una condanna che si aggiunge a quella a 2 anni comminata a dicembre, per incitamento ai disordini seguiti al golpe militare di febbraio. San Suu Kyi non è la sola: secondo un osservatorio locale, il bilancio dei civili detenuti ammonta a quasi 9.000, mentre i morti addirittura a 1.500, con denunce di stupro, tortura ed esecuzioni extragiudiziali.

«La portata e la gravità della violenza contro i civili, compresi i bambini e il personale umanitario, stanno aumentando in Myanmar». Ad affermarlo è Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da anni lotta per salvare le bambine e i bambini e per garantire loro un futuro. Che denuncia com nelle ultime settimane diversi minori siano stati uccisi in raid nello Stato di Kayah e nella regione di Sagaing, compreso il bombardamento di un campo per sfollati interni a Kayah.

Nell’ultimo anno almeno 150.000 bambini sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Secondo le Nazioni Unite 405.700 persone sono fuggite dalle loro abitazioni a causa dei combattimenti all’interno del Paese da quando i militari hanno preso il potere, con una cifra che è aumentata del 27% solo nell’ultimo mese. Circa il 37% degli sfollati in tutto il Myanmar sono minori, molti dei quali vivono all’aperto nella giungla, in rifugi improvvisati, esposti a fame, rischi e malattie.