Storie

«La mia diversità è la mia unicità: il monologo di Paola Egonu

La pallavolista e co-conduttrice della terza serata si è “raccontata un po’ di più”: la famiglia, le critiche, lo sport e le sconfitte, da cui possono nascere i successi più grandi
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10 febbraio 2023 Aggiornato alle 09:00

Uff. Che emozione! Spero di trasmettervi amore, empatia. Questa sera non sono qui a dare lezioni di vita, perché alla mia età sono più le cose che posso imparare di quelle che posso insegnare.

Cerco di ricavare da ogni giorno un insegnamento e così è stato anche nelle ultime settimane di avvicinamento al Festival. Spesso in passato sono stata definita ermetica, così nel tempo mi sono impegnata a raccontarmi un po di più, provando a ridurre al minimo lo spazio di interpretazione.

Questo non ha evitato comunque che alcune frasi venissero strappate dal contesto. Tagliate, incollate in senso casuale e fiondate sui giornali come titoli usati per far rumore.

Ho imparato che ogni pensiero, una volta che si trasforma in parola e viene condivisa con qualcuno, non è più sotto il pieno controllo di chi l’ha pronunciata. Questo mi ha ricordato che dovremmo sempre risalire all’ordine all’originale. E da quello che cercherò di fare io adesso.

Io sono la prima di tre fratelli e devo tutto a mamma Yunis e papà Ambros, sono loro che mi hanno permesso di vivere un’infanzia felice che mi hanno sostenuta e mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi guadagnarselo senza temere e sacrifici. Mi hanno aiutata a trovare mio percorso, anche se questo ha significato per loro vedermi andar via di casa a 13 anni.

Io non sono madre, ma sogno di diventarlo un giorno e sono certa che nessun genitore sia felice che la propria figlia che cresca lontana dal suo amore e dal suo sguardo.

Grazie mamma, grazie papà. Grazie che per amore verso di me avete rinunciato a me. Le vostre carezze e le vostre attenzioni mi sono mancate e continueranno a mancarmi, ma sapevo, sapevamo e so che questa è la mia strada.

Da bambina ero fissata con i perché, perché sono alta, perché mio nonno vive in Nigeria, perché mi chiedono se sono italiana, italiana, poi sono diventata grande e i perché sono continuati, perché mi sento diversa. Perché vivo questa cosa come se fosse una colpa, perché ogni volta mi sono punita dando una versione sbagliata di me stessa.

Col tempo ho capito che questa mia diversità e la mia unicità. E che alla domanda “perché io sono io?” c’è già la risposta, perché io sono io.

Io sono quella che, quando ancora mi fanno una domanda sul razzismo, mi viene da rispondere così. Prendete dei bicchieri di vari colori e metteteci dentro l’acqua, vedrete che la maggior parte delle persone sceglierà il bicchiere trasparente solo perché il suo colore ha il contenuto più limpido. Eppure, se proverete a bere da uno di quei bicchieri colorati, scoprirete che l’acqua ha sempre lo stesso gusto fresco e vita.

Perché siamo tutti uguali oltre le apparenze. E se questo non è ancora abbastanza in Veneto noi diremmo moja, ossia smettila.

Sono quella a cui lo sport ha dato tanto, ma sono anche quella che non crede che la sconfitta sia solo quando perdi una partita, quando in campo commetto errori. Anche se vinciamo può succedere che io la viva come una sconfitta. Io gioco in attacco e il mio obiettivo è quello di riuscire ad avere tra le mie mani la palla decisiva da schiacciare. Quella che farà punto. A volte ci riesco, a volte sbaglio e sto ancora imparando ad accettare l’errore. Perché quella palla che scotta, quella che fa paura, è il motivo per cui io di fatto sono lì.

Solo quella che viene anche criticata. Le critiche non sono mai mancate e non mancheranno, sono inevitabili, alcuni sono costruttive, la maggior parte gratuite, altre, e non voglio fare la vittima, sono dei veri macigni. Io a fatica ho imparato che sta a noi dare il giusto peso.

Sono quella che, come tutti ha dovuto affrontare dei momenti brutti, ma non ha mai smesso per questo di godersi quelli belli. Sono stata accusata di vittimismo, di drammatizzare e di non avere rispetto per il mio Paese e questo solo per aver raccontato brutte esperienze che ho vissuto, per aver mostrato le mie debolezze e le mie paure.

Amo l’Italia, vesto con l’orgoglio. La maglia azzurra che per me è la più bella del mondo. E ho lo stesso profondo, ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo Paese in cui ripongo tutte le mie speranze di domani.

Sono quella che spesso ha sbagliato gli appuntamenti importanti, nella mia storia di giocatrice sono più le finali che ho perso, di quelle che ho vinto. Eppure, questo non fa di me una perdente.

Così come non è perdente chi a scuola prende il voto più basso, chi non riesce a realizzare al primo colpo il suo sogno e poi, visto che siamo a Sanremo, non è perdente nemmeno chi arriva nelle ultime posizioni in classifica.

Ve lo ricordate? Era il 1983 e Vasco Rossi arrivò penultimo proprio su questo palco, un altro non perdente che ci ha insegnato che dalle sconfitte più dure possono nascere i successi più grandi.

Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso.

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