Culture

Sanremo, terza soirée: diritti e un po’ di stanchezza

Nessuno scossone tranne l’acuto di Paola Egonu: «Mi chiedevo “perché mi sento diversa?” Io sono io. Siamo tutti uguali oltre le apparenze». Sul palco dell’Ariston, anche la guerra
Credit: rainews.it
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 febbraio 2023 Aggiornato alle 11:25

La terza puntata del Festival di Sanremo ha registrato 9 milioni 240.000 spettatori, con uno share di 57,6%. Co- conduttrice della serata, Paola Egonu: «Amo l’Italia, vesto con orgoglio quella maglia azzurra che per me è la più bella del mondo e ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo Paese in cui ripongo tutte le mie speranze di domani».

Paola Egonu e il dovere di meritarsi l’italianità

Succede una cosa strana agli italiani di seconda generazione: dover ribadire quanto amino il nostro/loro Paese. Come se servisse per meritarselo - come se fosse necessario meritarselo - a differenza di italiani “più tradizionali”, che possono spesso fare e dire ciò che vogliono, senza che nessuno metta in dubbio l’amore per la natia patria. Nemmeno se e quando esprimono perplessità sulla Costituzione o non conoscono l’inno nazionale.

Paola Egonu invece, nata a Cittadella (Padova) da genitori nigeriani, questo privilegio non ce l’ha e la sua sorte - in campo come sul palco dell’Ariston - sembra essere quella di doversi giustificare. Sempre. E di chiedere scusa se a volte non ce la fa.

Il monologo forse più atteso del Festival di Sanremo 2023, perché preceduto da una scia di polemiche politiche e non, ieri sera è alla fine arrivato e chi si aspettava una furia è rimasto sicuramente deluso. La pallavolista più talentuosa d’Italia ma non solo - che vanta una schiacciata da 120 km orari - ha buttato la palla dall’altra parte della rete. Sì, ma con garbo.

La parola razzismo che tutti immaginavano, perno del discorso, è rimasta velata ma questo non significa che il suo messaggio sia stato meno potente, anzi tutt’altro.

«Da bambina ero fissata con i “perché”. Poi da grande mi chiedevo “perché mi sento diversa, perché la vivo come fosse una colpa?”. Ho capito che la mia diversità è la mia unicità. Io sono io. Siamo tutti uguali oltre le apparenze» ha ribadito, sottolineando la sua essenza che, proprio perché sua, non dovrebbe essere mai messa in discussione da nessuno e men che meno da chi crede che il colore della pelle faccia la differenza o da chi, come ha spiegato con un’efficace metafora, tra un bicchiere trasparente e uno colorato sceglie sempre il primo, convinto che l’acqua sia migliore.

Tempi lunghi e nessun grande acuto

La terza serata del Festival è quasi sempre la meno interessante e, anche quest’anno, il trend si è confermato.

Si sono esibiti tutti e 28 i cantanti in gara e, onde evitare di terminare all’alba (ma “solo” alle 2:03), a parte l’evitabilissimo monologo di Alessandro Siani a tarda notte, le gag tra Fiorello e Amadeus - perfetto crossover tra palco e social - e la presunta ma poi smentita lite dietro le quinte - con tanto di lancio di bicchieri - tra Anna Oxa e Madame, non c’è stato molto spazio per altro.

La musica finalmente si è presa il centro della scena come merita. A cominciare dai Maneskin, tornati dove la loro inarrestabile ascesa è iniziata, con un’esibizione incredibile accompagnata da una delle leggende del rock, il chitarrista dei Rage Against the Machine Tom Baptiste Morello.

Amore, musica e guerra

Poi è stata la volta del protagonista annunciato che si è preso l’Ariston e tutto il pubblico a casa: Marco Mengoni. La standing ovation riservatagli dal pubblico in sala sembra già averlo consegnato a una vittoria che, mai come quest’anno, è sembrata fin da subito scontata ma, al di là dei verdetti forse già scritti, il popolo dei social ieri è impazzito soprattutto per Tananai e la sua ballata romanticissima ma dallo sfondo sociale.

Quella intonata, infatti, non è una storia d’amore qualsiasi ma la relazione tra un ragazzo e una ragazza ucraina, divisi dalla guerra e dai palazzi in fiamme ma uniti dal sentimento che li tiene in vita.

Tantissimo zucchero insomma, come quello che traspare palesemente dagli sguardi dei Coma Cose, che nella conferenza stampa del pomeriggio avevano rivelato che alla fine, dopo la crisi narrata dalla loro canzone, si sposeranno.

Un lieto fine che tutti augurano anche agli innamorati sotto le bombe, nella speranza che presto possano riabbracciarsi e che, come ribadito anche da Gianluca Grignani con una camicia parlante come lo scialle di Chiara Ferragni, tutto il mondo segua presto un unico comandamento: no war.

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