Ambiente

Moda: arriva la responsabilità estesa del produttore

L’introduzione di questo sistema renderà obbligatoria, per le aziende, la circolarità del settore, dalla progettazione alla raccolta e riciclo dei rifiuti tessili
Credit: Cover Images via ZUMA Press
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8 febbraio 2023 Aggiornato alle 19:00

Anche in Italia sarà applicata la responsabilità estesa alle aziende del settore tessile.

Lo hanno annunciato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin e il ministro delle Imprese e del ‘Made in Italy’, Adolfo Urso.

L’obiettivo del nuovo decreto, scritto sulla base della Strategia nazionale per l’Economia circolare è ridurre l’impatto della moda sul clima e sugli ecosistemi. Il testo sarà fino al 3 marzo al vaglio delle principali associazioni di settore di abbigliamento, pelletteria, calzature e tessili per la casa.

L’Italia non è la prima ad adottare l’EPR (Responsabilità estesa del produttore). Misure simili sono in vigore in Francia già dal 2020 e, ben presto, si dovranno allineare anche gli altri Paesi europei: dal 2025, in tutto il territorio dell’Unione, sarà obbligatoria la raccolta differenziata dei prodotti tessili. Le operazioni saranno a carico dei brand, che potranno coinvolgere i consumatori, proprio come già accade con il contributo Raee, che versiamo ogni volta che compriamo un elettrodomestico per il suo futuro smaltimento.

Anche il settore della moda infatti ha una filiera molto inquinante: dai consumi di acqua ed energia necessari a produrre anche una sola t-shirt, al processo di smaltimento che spesso viene svolto in Africa, Asia e Sudamerica.

«Abbiamo il dovere di costruire, con il contributo irrinunciabile di chi opera in questo mondo (come le piccole e medie imprese), un sistema che valorizzi l’eco-innovazione e ci aiuti ad affermare la centralità di chi produce nel rispetto della legge e dell’ambiente», afferma in una nota stampa il ministro Pichetto Fratin.

Dunque, la bozza del decreto sull’EPR prevede che il produttore sia incaricato “del finanziamento e della organizzazione della raccolta, dell’avvio a preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti derivanti dai prodotti tessili”.

Questo sistema dovrà essere “capillare su tutto il territorio nazionale” e potrà essere gestito da più marchi insieme, oppure in maniera individuale, con la collaborazione degli Enti già incaricati di recuperare degli scarti urbani e industriali. A coordinarlo sarà un organo istituito appositamente, il CORIT, Centro di Coordinamento per il Riciclo dei Tessili.

È previsto anche il versamento di un “contributo ambientale”, che però “non dovrà superare i costi necessari per fornire il servizio di gestione dei rifiuti in modo efficiente e dovrà favorire l’innovazione orientata verso modelli di economia circolare”.

Questo, nel concreto, si tradurrà nel “riutilizzo” e nella “riparazione” di tutti i prodotti “tecnicamente durevoli e facili da riparare”, ma anche nello sviluppo di tecnologie avanzate per “la cernita di fibre provenienti dal trattamento dei rifiuti”.

Per descrivere cosa stiamo indossando, se ci sono fibre di origine animale, e quanto inquinano, proprio come nella normativa francese in vigore, a livello sperimentale, da quest’anno, ci dovrebbe essere “un’etichettatura digitale”.

I marchi della moda si dovranno così impegnare a eliminare dai loro tessuti “componenti e sostanze pericolose”, come le microplastiche poi disperse negli ecosistemi, ma anche a utilizzare materiali resistenti e adattabili che non abbiano “difetti di qualità che portino il consumatore a disfarsene”.

La mole di prodotti e accessori che ogni anno vengono venduti nei negozi online ovviamente, e poi scartati, sarà una delle difficoltà da affrontare per garantire la sostenibilità della filiera. Per esempio, in Francia, dove c’è una legge sull’EPR già da due anni, delle circa 517.000 tonnellate di materiali prodotti per l’abbigliamento nel 2020, ne sono stati recuperati circa 204.000, stima l’organizzazione Re fashion.

Di queste il 56% è stato riutilizzato e poco più del 33% è stato riciclato per produrre filati, grazie anche ai 70 impianti di riciclo presenti sul territorio e ai 45.000 punti di raccolta. Ma solo il 5% è stato destinato al mercato francese. Il resto è finito in quello africano.

Il costo per i piccoli produttori francesi (con un fatturato inferiore ai 750.000 euro) è un fisso di 75 euro, mentre per i grandi si va dagli 0,002 euro più Iva agli 0,05 per i capi più grandi e le calzature. Le imprese che però adottano logiche di ecodesign e prediligono tessuti sostenibili possono accedere a sconti del 25% sulle loro quote.

Secondo le previsioni, grazie al settore dell’economia circolare sarà possibile creare in Francia fino a 700.000 nuovi posti di lavoro. Si vedrà quali saranno i benefici di adottare un sistema simile anche in Italia. Intanto la bozza di decreto per l’Epr è un primo passo in questa direzione.

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