Ambiente

Australia: serve una moda più “verde”

L’ultimo rapporto pubblicato dalla Monash University denuncia gli sprechi dell’industria tessile nel Paese. Suggerendo nuove politiche governative
Melbourne Fashion Week 2022
Melbourne Fashion Week 2022 Credit: EPA/JOEL CARRETT AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT
Tempo di lettura 3 min lettura
31 ottobre 2022 Aggiornato alle 11:00

Durante l’inaugurazione della Fashion Week di Melbourne, è stato pubblicato lo studio Textiles: a trasnsitions report for Australia del Sustainable Development Institute della Monash University, che denuncia gli sprechi dell’industria della moda australiana, settore chiave per l’economia del Paese, e che chiede al governo di mettere in pratica politiche per ridurne l’impatto ambientale.

Seconda dopo gli Stati Uniti, l’Australia, infatti, contribuisce a gran parte delle emissioni dell’industria tessile e della moda in tutto il mondo. È stato stimato che gli australiani comprino, in media, 15 chili di nuovi capi di abbigliamento all’anno - più o meno 56 nuovi indumenti - dei quali più del 90% finisce in beneficienza o semplicemente nella spazzatura.

Un altro dato rilevante da tenere in considerazione è che l’Australia viene considerata la leader mondiale nel consumo di materie prime per l’industria tessile, con un apporto di 47 tonnellate pro capite, quasi il doppio dell’Osce.

Data l’importanza economica del settore della moda nel Paese, i ricercatori non si sono limitati a presentare numeri e statistiche o a denunciare lo stato attuale delle cose. Al contrario, sottolineando il potenziale di crescita e di rinnovamento, hanno proposto 7 percorsi in linea con l’Agenda 2030, con l’obiettivo di trasformare l’industria tessile in un’industria green.

I ricercatori suggeriscono di fissare obiettivi vincolati e misurabili per ridurre l’impatto ambientale del Paese, tra cui investire in pratiche industriali responsabili e sostenibili, accelerare acquisti nazionali sostenibili e incentivare l’uso di materiali riciclati e ridurre quelli “vergini”.

Il lavoro dei ricercatori diventa ancora più importante e rivoluzionario, poi, se lo analizziamo in un contesto internazionale. È stato stimato, infatti, che entro il 2030 si produrranno 102 milioni tonnellate di capi di abbigliamento in tutto il mondo, con un aumento del 63% rispetto al 2015.

Questo ritmo di produzione e consumo, però, ha un grave impatto sul nostro pianeta, in quanto contribuisce alla scarsità d’acqua, all’inquinamento e in generale al cambiamento climatico, intacca la biodiversità e degrada il suolo.

In questo senso, i cambiamenti suggeriti hanno il potenziale di favorire una transizione, a livello nazionale e internazionale, verso una moda e un’industria tessile circolare. Se, per esempio, consideriamo il contesto italiano, dove il made in Italy è considerato un marchio d’eccellenza a livello mondiale, le politiche suggerite potrebbero diventare anche nel Bel Paese un modello da perseguire.

Attenzione però: non sono solo le normative nazionali e internazionali a influenzare un settore, come quello della moda, ma anche i consumatori, nelle loro scelte individuali, possono (e devono) creare una domanda adeguata a un mercato green. La transizione ecologica non avrà successo se domanda e offerta non vanno di pari passo.

Leggi anche
Valentino Garavani Small Roman Stud bag
Vestire green
di Manuela Sicuro 6 min lettura
Sostenibilità
di Sandra Hawi 4 min lettura