Economia

Peak inflation, ci siamo arrivati?


L’inflazione inizia a rallentare ma alcuni beni di prima necessità continuano ad aumentare di prezzo. Una guida per capire cosa sta succedendo nei diversi Paesi
Credit: Bryan Papazov
Tempo di lettura 4 min lettura
6 febbraio 2023 Aggiornato alle 07:00

Per peak inflation intendiamo il punto più alto nel livello di inflazione (dopo il quale, l’inflazione solitamente scende). La buona notizia è che lo stiamo raggiungendo. E, di conseguenza, i mercati borsistici si stanno riprendendo. Secondo i dati forniti dall’Istat, sia in Italia che in Europa l’inflazione sta rallentando e l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività ha registrato un aumento dello 0,2% su base mensile e del 10,1% su base annua (da +11,6% del mese precedente).

La Federal Reserve ammette che, anche se l’inflazione sta calando, resta ferma nella sua decisione di non voler rischiare la recessione e alza ancora i tassi dello 0,25%, portandoli ai massimi dal 2007. Inoltre, ha fatto sapere che ha in programma ulteriori rialzi, almeno all’appuntamento con il prossimo vertice di marzo, ipotizzando che raggiungeranno la vetta del 5-5,25%. La Banca Centrale Americana ha affermato che non si può fare diversamente, perché anche se l’inflazione ha rallentato, resta pur sempre alta.

La flessione dell’inflazione si deve principalmente al forte rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici regolamentati (da +70,2% a -10,9%), degli alimentari non lavorati (da +9,5% a +8,0%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,2% a +5,5%). L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +5,8% a +6% e quella al netto dei soli beni energetici è rimasta stabile a +6,2%.

Nell’Eurozona, invece, l’inflazione dovrebbe attestarsi all’8,5% a gennaio, in calo rispetto al 9,2% di dicembre, secondo la stima flash di Eurostat. La Fed, inoltre, fa sapere che i continui rialzi servono per arrivare a una posizione di politica monetaria sufficientemente restrittiva per riportare nel tempo l’inflazione al 2%.

Nonostante questo, i prezzi di alcuni beni alimentari base hanno continuato la loro ascesa in Europa e tra questi abbiamo: zucchero, farina e burro. Da nessun’altra parte del mondo si sono visti aumenti come quelli che sta vivendo in questo momento lo zucchero: in Francia si sta pagando il 23% in più rispetto allo scorso anno, in Italia e Spagna il 51% e in Germania il 63%.

Ma perché lo zucchero sta aumentando cosi tanto?

In parte si può dare la colpa a una scarsa raccolta e all’estate calda e secca. Secondo il più grande produttore del continente, Südzucker, l’area dedicata alla produzione di barbabietole da zucchero è diminuita del 4% nello scorso anno e fare lo zucchero dalle barbabietole consuma molta energia. Inoltre la maggior parte delle fabbriche è alimentata a gas e quindi, la diminuzione delle esportazioni verso l’Europa, da parte della Russia, ha spinto il passaggio ad altri carburanti, creando costi aggiuntivi e destinati a crescere.

Nel corso di questi ultimi due anni si sono vissuti molti alti e bassi sotto il punto di vista economico, e molti economisti si sono confrontati duramente sui prezzi dei beni. Per valutare il potere d’acquisto tra i diversi Paesi e la sopravvalutazione o sottovalutazione delle valute, si può usare il Big Mac Index. Questo strumento è stato inventato nel 1986 dal The Economist e serve per misurare la parità del potere d’acquisto, un concetto economico che si basa sull’idea che il tasso di cambio tra due Paesi dovrebbe essere uguale al rapporto tra i rispettivi poteri d’acquisto.

Questo panino rappresenta l’insieme di affitto, elettricità e lavoro, così come di carne, pane e formaggio, e dato che McDonald’s è una delle più grandi aziende al mondo e il Big Mac è ampiamente disponibile a livello globale, si presta perfettamente come base di confronto. a esempio, un Big Mac costa 24,40 yuan in Cina e 5,81 dollari negli Stati Uniti. Confrontando il tasso di cambio implicito con il tasso di cambio effettivo, si evince come lo yuan sia sottovalutato del 34%.

Nell’Eurozona, il prezzo del panino è aumentato del 14% negli ultimi due anni e in Gran Bretagna del 15%. The Economist continua a fare questi confronti dall’86 e rileva sempre grandi differenze del costo del Big Mac in diverse parti del mondo.

I prezzi possono anche aumentare più velocemente in un Paese, rispetto che a un altro, ma con la lunga inflazione non è stato questo il caso e dal 2020 i prezzi non hanno fatto altro che salire. Negli ultimi anni, per esempio, il Venezuela ha conosciuto il più grande aumento dei prezzi degli hamburger, con il costo che è salito di quasi il 250% dal 2004. Il Big Mac Index ha molti difetti, ma funge da buon punto di partenza per comprendere la parità del potere d’acquisto e rende la teoria economica più facile da digerire.

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