Economia

Inflazione o recessione? Vediamo cosa ci aspetta nel 2023

Il 2022 si è presentato come l’anno della ripresa. Poi è arrivata la guerra, il caro energia, l’inflazione. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, quest’anno la crisi potrebbe colpire un terzo dei Paesi del mondo
Credit: cottonbro studio/pexles

Fare i conti con la realtà degli eventi è un’azione ardua ma necessaria. E, come insegnano le vicende dell’anno appena terminato, tenere sotto controllo l’andamento economico lo è ancora di più. L’impatto della crisi che stiamo vivendo è pervasivo e ogni Paese ne accusa il colpo. La pandemia, l’invasione russa in Ucraina, il caro-energia hanno generato una situazione di instabilità e incertezza.

Abbiamo accolto il 2022 come l’anno della ripresa

L’economia globale aveva riposto nell’anno appena concluso la possibilità di rimarginare le ferite del Covid-19, di rialzarsi e di far ripartire finalmente l’economia. Il Fondo Monetario Internazionale valutava per il 2022 una crescita globale del 4,4%. Una strada percorribile, non fosse stato che l’invasione in Ucraina e la conseguente crisi energetica hanno cambiato le carte in tavola e così le previsioni sono state immediatamente riviste a ribasso.

Da quel momento, il valore dell’inflazione ha subito un’impennata. D’altro canto, una crisi energetica di questa portata non si vedeva dagli anni ‘70 e, in questo contesto, l’Italia è stata tra i Paesi che ha subito le conseguenze più pesanti, data la sua dipendenza di idrocarburi dall’estero.

L’evolversi della situazione ha portato le banche centrali, la Banca Centrale Europea e la Federal Reserve statunitense, a credere che si sarebbe trattato di un rialzo temporaneo dei prezzi. Ma così non è stato. A settembre 2022, i prezzi sono aumentati ulteriormente. Secondo l’Istituto nazionale di Statistica, in Italia l’accelerazione dell’inflazione, su base tendenziale, è stata causata soprattutto dall’aumento dei prezzi dei beni alimentari e di quelli energetici. La congiuntura viene paragonata a quella dell’agosto 1983, quando il tasso di inflazione arrivò a un +11,0%.

Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha accusato il colpo ed ha deciso di proseguire attraverso una politica aggressiva basata sull’aumento dei tassi di interesse, portandoli così dallo 0 al 4%. La Bce (come al solito) segue gli americani, procedendo con un ulteriore rialzo di 75 punti base dei tassi di interesse chiave per la prima volta nella storia.

A dicembre è arrivato il calo (apparente)

In Spagna il tasso di inflazione scende dal 6,8% al 5,8%. In Francia, l’indice dei prezzi armonizzato cala al 6,7% annuo (dal 7,1% di novembre). Su base mensile, il costo della vita scende allo 0,1%, dal +0,4% di novembre. Allo stesso tempo, i prezzi al consumo in Germania diminuiscono dello 0,8% rispetto al mese precedente, mentre su base annua il tasso di inflazione è aumentato dell’8,6% contro il 10% di novembre e il 10,4% di ottobre, battendo al ribasso i pronostici attorno al 9%.

Anche in Italia sembra intravedersi una curva discendente dell’inflazione. Secondo l’Istat, a dicembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,3% su base mensile (rispetto al +0,5% di novembre) e dell’11,6% su base annua (rispetto al +11,8% del mese precedente). Ma la riduzione dei valori non tranquillizza le Banche centrali. Infatti, osservando da vicino la diminuzione del tasso di inflazione, la situazione si presenta diversa dalle apparenze.

Rammentiamolo: con il termine inflazione viene indicata la variazione dei prezzi di un paniere che riflette le abitudini di acquisto di un consumatore medio, che contiene quindi anche prodotti alimentari ed energetici. Il prezzo di quest’ultimi varia nel tempo e per questo vengono chiamati volatili, proprio poiché possiedono un valore instabile rispetto ai prezzi degli altri beni e servizi. Pertanto, per ottenere dei valori meno fluttuanti, viene calcolata l’inflazione cosiddetta core, di fondo, dove vengono esclusi i prodotti “volatili” come quelli alimentari ed energetici.

Tutto questo è necessario per distinguere quelle che sono momentanee variazioni dei prezzi di alcuni beni da una crescita generalizzata dei prezzi (molto più rilevante e preoccupante per l’economia e per le banche centrali).

Se utilizziamo questa prospettiva, osserviamo quindi che il lieve calo dell’inflazione nel mese di dicembre è dato da una riduzione del prezzo dell’energia, mentre il valore dell’inflazione core continua a essere elevato. La Spagna e la Germania ne sono una prova: l’inflazione core tedesca a dicembre è salita dal 5% al 5.1% e quella spagnola è passata dal 6.3% al 6.9%. Nel complesso, non rincuora neanche il calo dell’inflazione nell’Eurozona sceso al 9,2% dal 10,5% di novembre, rispetto al nuovo record dell’inflazione core del 5,2%.

Per questo la Bce non molla la presa e insiste con il rialzo dei tassi per frenare la domanda. Secondo la Banca Centrale Europea, l’inflazione tornerà a salire a gennaio e febbraio nell’area dell’Euro e gli economisti prevedono nei prossimi mesi altri 2 aumenti dei tassi di 50 punti base. L’Europa continua a seguire il modello americano, in cui la Fed statunitense, nonostante l’allentamento dell’inflazione, non abbandona la politica aggressiva sui tassi.

Previsioni per il 2023

È difficile presagire come si evolverà l’assetto economico globale. Il rischio più atteso è quello dell’arrivo di una recessione: è facile immaginare che l’economia subirà le conseguenze delle politiche restrittive adottate, basate su tassi in rialzo e drenaggio della liquidità. Il 2023 viene preannunciato come l’anno di passaggio. Il passaggio sarà quello da un periodo di inflazione a uno di recessione e quindi a un calo significativo dell’attività economica diffusa. Si presume che se avverrà quanto preannunciato dagli economisti, gli investitori dovranno tenere in considerazione 2 scenari diversi: quello di un rallentamento leggero, con utili, ossia differenza tra ricavi e costi di un’impresa, stabili o in timida flessione oppure quello di una recessione da manuale, detta hard landing, nella quale i profitti delle aziende calano in media del 15%.

Questo è lo scenario che prefigura anche il Fondo Monetario Internazionale, secondo il quale un terzo dei Paesi del mondo e metà di quelli dell’Unione Europea hanno forti possibilità di finire in recessione, poiché le 3 grandi economie - Stati Uniti, Unione Europea e Cina - stanno rallentando contemporaneamente. Anche per i Brics - acronimo dato dalla Goldman Sachs alle 5 nazioni che sembrano destinate a dominare il sistema mondiale (Brasile, Cina, India, Russia e Sudafrica) - il 2022 è stato un anno complicato sotto il punto di vista economico.

La Cina ha adottato una strategia zero-Covid per salvaguardare i 2 eventi di punta dell’anno: il congresso quinquennale del Partito Comunista e l’incoronazione di XI Jinping per il suo terzo mandato. Ma, in questo modo, ha abbattuto la domanda interna. L’economia russa vacilla a causa delle sanzioni e della contrazione della produzione. In Brasile e in Sudafrica, i problemi politici hanno danneggiato gli investimenti infrastrutturali. Solo l’India, forse, può guardare con soddisfazione all’anno appena concluso. Come era già avvenuto nel 2008, anche in questo caso, a essere meno colpiti dalla crisi rimangono i Paesi emergenti che, nel frattempo, hanno adottato alcuni cambiamenti strutturali.

Tiriamo le somme

Ciononostante, il risultato è un quadro economico globale in negativo. La recessione arriverà, ma avrà una forma diversa in base alle diverse aree geografiche.

Negli Stati Uniti è prevista una lieve recessione, mentre in Europa il rallentamento sarà più forte e quasi inevitabile, specialmente per Italia e Germania. Per i Paesi emergenti, l’inflazione dovrebbe raggiungere il picco con l’inizio dell’anno e iniziare poi a scendere.

La recessione sembra, dunque, essere alle porte. E sale la tensione tra la popolazione, che teme di non essere in grado di affrontare economicamente questo momento storico. Una serie di inchieste Ipsos mostra come, in Italia, crescono tra le famiglie sentimenti di incertezza e paura, specialmente per il ceto medio. La percezione di insoddisfazione per la propria condizione economica aumenta del 10%, arrivando a toccare il 56%, oltre la metà della popolazione.

In un contesto di recessione globale, osservare con occhio lucido l’evoluzione delle variabili economiche aiuta a eliminare false speranze e a prendere le giuste contromisure. In questo clima, bisogna cooperare e aiutare a muoversi nella crisi, avendo uno sguardo più ampio sul mondo, non lasciando indietro nessuno, nell’attesa che soffi un vento migliore.

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